venerdì 14 marzo 2014

Attività on line 1.2 - come insegna?

Come concordato, le attività on line consistono nel rispondere con un breve elaborato scritto (un commento) ad una serie di domande.

La seconda (1.2) è la seguente: Come insegna e che metodologie didattiche utilizza? 

Nel ricordare che la scadenza per l'inserimento del commento è fissata per sabato 26 aprile, mi raccomando di firmare i propri interventi (o di segnalare al mio indirizzo di posta l'eventuale nickname utilizzato). 

Buon lavoro!

40 commenti:

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    1. Spesso non ci si rende conto delle difficoltà che i ragazzi trovano nell'apprendere una determinata disciplina. Per quanto mi riguarda credo che non ci sia una procedura standard nell'educare, anche se spesso e volentieri gli insegnanti si trovano a dover sostituire il ruolo dei genitori che è a mio avviso deontologicamente scorretto. In sintesi non utilizzo un metodo convenzionale per insegnare, piuttosto cerco sempre di trovare nuove strategie in base alle classi che mi trovo di fronte. Ho osservato nei mei sei anni di insegnamento alcuni principi che l'ID (Instructinal Design) ha definito nell'ambito di riuscita di un'istruzione efficace. Mi sono sempre messo dal punto di vista dell'allievo cercando di capire come la pensa, ho apprezzato sempre gli sforzi e gli avanzamenti da esso compiuti, ho cercato di infondere autostima durante gli insuccessi. Quest'anno ad esempio ho avuto una studentessa in classe bocciata nella materia di Disegno e Storia dell'arte. Il suo problema non era il sapere; l'avevano sempre mediocrizzata invece di stimolarla ed incitarla a raggiungere l'obiettivo proposto. Io l'ho seguita passo per passo nella realizzazione di un elaborato grafico fino a farle raggiungere il conseguimento dell'obiettivo. Il risultato è stato molto piacevole; ho visto negli occhi di quella ragazza la gioia di aver portato a termine un progetto che l'anno precedente sembrava per lei impossibile. Lei aveva già come sostiene Piaget degli schemi preesistenti; io l'ho solo stimolata nel processo della metacognizione. In questo senso se avessimo generato un grafico riguardante la ZSP (zona di sviluppo prossimale) avremmo ricavato una chiave di lettura chiara: la studentessa se opportunamente seguita e aiutata ha raggiunto un livello dignitoso nell'affrontare una prova. In questo senso è stato importante per l'allieva l'acquisizione dell'empowerment; il raggiungimento del senso di notevole autostima da me divulgata nei sui confronti. Ho così eliminato in lei frustrazioni passate nei confronti della disciplina nella quale risultava carente. Potremmo sostenere che ho attuato quello che Skinner definisce "Rinforzo Positivo" visto che alla fine dell'elaborato ho elogiato l'alunna per il suo lavoro. Spesso e volentieri mi è capitato anche di entrare in classi dove gli alunni sono privi di motivazioni. Ho cercato allora di metterli di fronte ad un'immagine della società differente per quanto riguarda la mia materia, la Storia dell'arte. Ho comunicato a loro queste parole: "è più facile che sia l'arte o un gesto artistico a cambiare il mondo piuttosto che la scienza". Ovviamente non sono un missionario che predica sermoni, anche se avolte mi sento così. Però questa mia frase è stata il punto di partenza per rendere delle lezioni efficaci. Ad esempio secondo la CLT non c'è apprendimento se l'attenzione si presenta divisa o dispersa. Il mio compito è stato sempre quello di creare quella che Merril chiama "Integration": cercare di mettere in relazione le conoscenze dello studente nel campo della vita reale per permettergli di trovare grande motivazione nel saper dimostrare agli altri ciò che sa fare. Concludo col sostenere che i ragazzi debbano anche ritornare a lavorare in gruppo per sviluppare un senso critico nei propri confronti e nei confronti dei compagni, per mettersi in discussione, per far diventare il loro lavoro efficace come il nostro metodo di insegnamento.
      Moris Valverde.

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  2. Adotto il programma in base alla classe che ho di fronte. L'importante per me è fornire stimoli per lo sviluppo individuale, ampliare le vedute, il pensiero critico. Ripeto sempre ai miei ragazzi che sono "cittadini del mondo" e come tali non devono rimanere chiusi nei loro preconcetti. Le scuole dove insegno sono istituti superiori professionali di piccole province, mediocri realtà. Molto importante è il rispetto reciproco che riesco ad ottenere individuando il "soggetto leader" del gruppo classe, colui che trascina in modo sbagliato. Il più delle volte con violenti scontri verbali riesco ad ottenere il "suo" sostegno. Ottenuto ciò la classe segue con rispetto ed attenzione riconoscendo in me l'autorevolezza e le capacità per insegnare. Un apprendimento significativo si realizza solo se l'allievo riesce a mettere in relazione le nuove conoscenze con le preconoscenze già possedute. Un allievo possiede già qualche nozione preliminare. Quando ne presento di nuove, aiuto l'allievo a fare i "conti" con ciò che già conosce. Ausubel propone "advance organizer", un'impalcatura preliminare ( schema, aneddoto, .......) che offre l'idea di quelli che saranno i punti da acquisire mobilitando le preconoscenze che servono per una comprensione immediata. L'insegnante non deve però solo far acquisire contenuti, ma anche mettere l'alunno in grado di imparare da sé, riflettendo sulle strategie che può adottare. Inizio la lezione mostrando all'allievo come fare, orientandolo su compiti semplici, e successivamente passo ad un compito più complesso e pian piano l'allievo sarà in condizione di affrontare da solo il compito "la guida istruttiva si dissolve".
    Il materiale lo presento sempre in modo graduale, usando un linguaggio chiaro, controllo la comprensione dello studente, eseguo la pratica guidata finché non hanno automatizzato, offro aiuto costante e fornisco feedback frequenti. Nel fare ciò ritrovo riscontro in Barak Rosenshine, autore che ha raccolto in sintesi le pratiche sopra elencate.
    Il mio tipo di lezione può definirsi "anticipativa" cioè, uso un linguaggio semplice ed esprimo concetti che anticipano le acquisizioni fondamentali che dovranno essere apprese dagli alunni instaurando talvolta anche delle discussioni volte a far emergere le loro preconoscenze.
    Utilizzo slides, schemi chiari, poche nozioni poiché il più delle volte i ragazzi rimangono disorientati di fronte ai molteplici input che trovano su internet o nei manuali troppo prolissi.
    Paola Petrini Rossi

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  3. Attività on line 1.2 - Come insegna e che metodologie didattiche utilizza?
    Dal rinforzo positivo, ne consegue una buona motivazione all’apprendimento da parte del discente, che si sentirà fortemente invogliato ad apprendere, e qui possiamo “chiedere aiuto” anche a Bruner, in cui possiamo far capire ai nostri allievi la soddisfazione che vi è nell’apprendere nuove cose e vincere le sfide che ogni giorno insegnante propone con questo potente allenamento. Concordo con Bandura, nel non gratificare i miei ragazzi su compiti semplici, è un errore che facevo i primi anni. Importante sempre lavorare sui feedback, perché è bene orientare l’allievo se si trova sulla giusta via o se deve cambiare rotta, è quello che faccio ogni volta che vedo un disegno, un figurino di moda o una tecnica grafica mal eseguito.
    Noto che nella rielaborazione domestica dei compiti assegnati, fanno fatica ad auto valutarsi, l'allievo ha la presunzione di dire, anche davanti a un errore evidente, che il proprio elaborato grafico è svolto bene; lavoro molto su quest'aspetto, devono imparare a essere obiettivi con se stessi, solo così potranno migliorare sempre nella propria vita, di là dalla scuola. Inoltre, cerco sempre di agire per fasi, dalla più semplice a quella più difficile, tranquillizzando e incoraggiando sempre le classi, ricordando loro di guardare sempre indietro, dal personale punto di partenza, da ciò che hanno appreso da settembre a oggi. Sistematicamente sono consegnate nuove schede di lavoro e con livelli di difficoltà maggiori. Inizialmente li seguo, faccio vedere loro come devono approcciarsi al nuovo elaborato o tecnica grafico-pittorica, dopo di che li lascio fare, (fading), liberi anche di sbagliare, perché mi interessa anche capire come loro si buttano su una nuova cosa; quindi li guardo da lontano, oppure affianco ad alcuni allievi in difficoltà un tutor, e ho riscontrato che questo metodo diverte molto oltre ad essere efficace. Per quanto riguarda la revisione dei lavori, viene svolta almeno una volta a settimana, visto che ho delle materie grafiche e creative.
    Per me il laboratorio, il fare, la pratica nell’Educazione Artistica, ha molta importanza, una corrente di pensiero che parla anche di questo, è l’Attivismo di cui Dewey è uno dei principali esponenti. L’Attivismo infatti si afferma come filone concreto, attivo di esperienza più che teorico. Ovvero, la teoria è importante, ma secondo me ben cosa più importante è l’attività di laboratorio che dovrebbe supportare o viaggiare di pari passo con la teoria.
    Questa corrente costituisce un movimento occidentale di grande influenza su tutta la teoria e la pratica pedagogica. Essa si oppone alla concezione della pedagogia tradizionale che svaluta gli aspetti attivi e produttivi dei bambini, alla visione dell’insegnamento come momento separato dall’esperienza dell’apprendimento, all’interpretazione del lavoro mentale come meccanico, ripetitivo, e non creativo.
    L’Attivismo invece considera la mente del bambino come attiva, come un soggetto in grado di elaborare le cose, in modo cognitivo. A mio parere, proprio per questo motivo, l’insegnante deve scendere dalla cattedra e abolire le lezioni frontali, per mischiarsi fra gli allievi, perché al centro dell’insegnamento, non ci siamo noi insegnanti, bensì loro: i nostri alunni, “somari e non”, sempre per citare Pennac!

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  4. 1.2 Come insegna?
    Dopo un primo monitoraggio tramite un colloquio con la classe e i test d’ingresso, cerco di instaurare prima di tutto un rapporto di fidelizzazione con il gruppo e contestualmente provo ad improntare il lavoro volto alla “scolarizzazione”. Pretendo educazione ed attenzione dalla classe, ammonisco chi persevera nella distrazione ed elogio il merito. Tramite il dialogo educativo provo a guadagnare il rispetto della classe. Cerco di individuare chi potrebbe essere l’elemento trainante e chi invece crea disturbo. Con quest’ultimo provo ad instaurare un rapporto prima che con gli altri, facendo capire che è stato preso in considerazione, ma che ho in lui un’aspettativa. Focalizzo molto l’attenzione sull’aspetto prevalentemente educativo, volendo imprimere il senso civico della buona convivenza tra compagni, personale scolastico e soprattutto il rispetto delle regole. Anche dal punto di vista didattico mi pongo l’obiettivo di sviluppare in loro senso di responsabilità e precisione esecutiva nel lavoro sia teorico che pratico. Molto spesso però il tutto avviene a discapito della qualità degli elaborati prodotti. Insegno loro materie del tutto nuove e la diffidenza nei loro occhi è tangibile quanto lo è la poca fiducia nei propri risultati. Quindi laddove la motivazione è già così precaria, non posso intervenire troppo sulla qualità che si acquisirà pian piano, (poi come dice la collega Staffilano è sempre interessante e gratificante far vedere i progressi fatti nel corso dell'anno)ma se il lavoro è stato consegnato in maniera completa, precisa e puntuale intervengo con il rinforzo positivo di tipo skinneriano, mentre con altri allievi più talentuosi e più motivati utilizzo la teoria banduriana dell’autoefficacia, proponendo nuovi obiettivi. Per quanto riguarda la programmazione didattica, trovo efficace il modello dell’anticipazione proposto da Ausubel, spiegando all’inizio quale sarà il programma e gli obiettivi da raggiungere, evidenziando le eventuali criticità. Seguo lo stesso copione per le lezioni seguenti. È parte fondamentale della mia lezione, sia pratica che orale, l’assegnazione dei compiti, produzione di quaderni e cartelline che vengono revisionati di volta in volta. La revisione in itinere, come trovo riscontro anche in Calvani e Zimmerman per quanto concerne l’autoregolazione, permette il feedback, che agisce da segnale orientativo con l’alunno grazie alla valutazione formativa durante il processo di apprendimento, come afferma anche Bruner, permettendo l’autocorrezione in vista dell’obiettivo da raggiungere. Questo per me è fondamentale se penso che l’obiettivo principale di ogni mia programmazione è lo sviluppo di un proprio cosciente e responsabile metodo di lavoro. Oltre alla revisione le altre mie “architetture didattiche” coincidono con quelle proposte da Rosenshine relative alla presentazione, la pratica guidata, ma anche al modello bruneriano della lezione euristica dove alterno brevi esposizioni a domande o la rivisitazione periodica dove una conoscenza acquisita in una disciplina, ad esempio Disegno, viene riproposta da un altro punto di vista in Storia del costume e viceversa, avviando un processo di ricollocamento più consapevole nella memoria semantica, come afferma lo stesso Calvani. Cerco di usare un linguaggio chiaro, facendo molti esempi, cerco di incoraggiare, far provare (coaching) fornendo strumenti di supporto (schemi, schede, libri, libri di testo, riviste di settore, slide, prototipi completi e non) per poi ridurre la guida come suggerisce Calvani nel paragrafo Modellamento e fading. …Ci provo..!

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  5. Insegnare implica la trasmissione delle conoscenze relative ad una disciplina, ma anche la trasmissioni di stimoli utili alla crescita intellettuale e psicologica dell’allievo. Per questo mi sforzo di tenere sempre conto degli interessi dei miei studenti, pur non perdendo mai di vista le direttive ministeriali per quanto concerne i contenuti.
    La mia materia di insegnamento “Tecnologia applicata ai materiali e ai processi produttivi” si occupa dello studio delle fibre tessili, della loro classificazione, della loro realizzazione, fino al controllo di qualità.
    Fermo restando che non esistono, a mio avviso, metodologie da poter applicare pedissequamente, poiché ogni lezione è diversa dal momento che le differenze contestuali sono sempre presenti e possono incidere in maniera rilevante, ciò nonostante vi sono dei punti fermi a cui faccio normalmente riferimento.
    Nel presentare un modulo alla classe ricorro alla lezione “anticipativa”: fornisco informazioni sintetiche, usando un linguaggio semplice per permettere ai ragazzi di conoscere in anticipo i contenuti che andremo ad approfondire nelle diverse U.D. che costituiscono il modulo. Allo stesso tempo con il brain storming, mi sforzo di cogliere i diversi punti di vista dei miei alunni, per poter cogliere i loro interessi e far leva sulla loro motivazione. Dei prerequisiti o preconoscenze mi accerto all’inizio dell’anno scolastico, somministrando il test d’ingresso.
    Nelle lezioni successive, per introdurre l’argomento, l’approccio con la classe è quasi sempre frontale. Il libro di testo rimane il punto di riferimento, perché è importante che gli studenti imparino a riconoscerlo come uno strumento di supporto indispensabile per la loro formazione e per la loro autonomia nello studio. Non mancano momenti di natura strettamente pragmatica: il book dei tessuti mi consente di mostrare la natura e la struttura delle fibre tessili, questo aiuta gli alunni a classificare le stoffe in modo concreto e chiaro. La pratica guidata, di considerevole supporto al mio insegnamento, è affidata all’esperto, figura tecnico-pratica introdotta dalla riforma per gli istituti professionali, e lo strumento privilegiato, per ovvie ragioni, è il microscopio. Nell’ approfondire il processo di realizzazione dei tessuti utilizzo dei cd-rom che, generalmente corredano il mio libro di testo. Nel corso delle attività didattiche, compatibilmente con le risorse scolastiche e territoriali, con il supporto dei colleghi che curano l’alternanza scuola-lavoro pianifico visite guidate presso aziende tessili.
    La lezione euristica mi aiuta invece a coinvolgere gli alunni con brevi domande e a tenere il più possibile sotto controllo il loro livello di partecipazione e la qualità dei loro apprendimenti, insomma mi guida nella valutazione formativa, che va sempre condotta nel corso del processo di apprendimento, con lo scopo di riorientare, se necessario, l’allievo in vista dell’obiettivo finale, la valutazione sommativa che ha la funzione di certificare gli apprendimenti, attribuendo un giudizio di merito mediante il voto.

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  6. Sette anni di esperienza come insegnate, in contesti diversi e per materie diverse, mi hanno fatto capire che ogni classe è a sé, ha un suo clima, sono realtà differenti, dove ogni volta bisogna calarsi cercando di intuire (cosa non sempre facile) quali potrebbero essere i meccanismi di presa di attenzione per quella classe. Per noi precari, che veniamo nel vero senso della parola catapultati all'interno di questi micromondi in momenti diversi di un anno scolastico, senza sapere nulla di chi abbiamo di fronte, diventa spesso una sfida con noi stessi, che ogni volta ci troviamo a doverci modellare alle diverse esigenze, capire le problematiche della classe e captarne le risorse, nella maniera più rapida possibile.
    Per questo spesso nel far lezione parto dalle loro esperienze e dalle idee che hanno già (se ne hanno) su quell'argomento, attivando quelle che Ausubel chiama le loro “preconoscenze”, partendo magari dai loro interessi, per introdurre, amplificare o correggere il loro sapere su quell'argomento (Alterno un tipo di lezione “espositiva” e “anticipativa”, per cui lo scopo è quello di introdurre l'argomento, ad un tipo di lezione “euristica”, di carattere dialogico con gli studenti). La scelta del tipo di lezione comunque dipende sempre dall'età e dall'expertise, la familiarità con l'argomento, degli studenti. Maggiori sono le preconoscenze, maggiore è la possibilità di tenere un tipo di lezione “euristica”, dialogico – critica.
    Il mio metodo di insegnamento prevede principalmente l'utilizzo del libro di testo come strumento da far utilizzare ai ragazzi, con l'aggiunta, in base a gli argomenti trattati, di letture di approfondimento, articoli di riviste d'arte specializzate e debbo dire in rarissimi casi la visione di DVD.
    Generalmente presento in maniera sintetica e globale l'argomento da trattare, dandone una visione d'insieme (per es. una corrente artistica), dando allo studente quei punti chiave che gli serviranno poi per focalizzare i vari artisti, il loro contesto, il loro stile, la loro poetica, gli elementi che li accomunano. Cerco di dare un'impalcatura, uno schema di base, che è molto importante nella Storia dell'Arte, vista la sua ciclicità, la sua fenomenologia degli stili.
    Per poi fissare nella memoria degli alunni e far propri determinati stili artistici, spesso propongo raffronti di artisti, anche molto distanti cronologicamente, ma che sono accomunati da certe caratteristiche di tecnica per esempio (un artista del Cinquecento che ha anticipato un artista dell'Ottocento per alcuni aspetti). E' questo anche un pretesto per trattare argomenti che normalmente, per questioni di tempo, non si riesce a trattare e per rendere più dinamiche le lezioni.
    Per quanto riguarda il disegno, cerco di collegarlo il più possibile alle tematiche trattate in itinere in Storia dell'Arte, per non distanziare troppo la parte pratica dalla teoria.
    Cerco di insistere molto sul concetto di “progettualità” (deformazione professionale, visto che provengo dal mondo della grafica pubblicitaria), di sviluppo delle idee; è un allenamento molto importante secondo me, un concetto questo che si rispecchia anche nella propria vita; avere uno scopo, un obiettivo da raggiungere e sapere che per raggiungerlo ci sono dei percorsi da seguire credo sia fondamentale (oggi un po' controcorrente, visti i numerosi falsi modelli che i ragazzi hanno come punti di riferimento). Come in ogni contesto artistico, per dar forma all'immaginazione e all'idea bisogna appropriarsi di quelli che sono gli strumenti espressivi più idonei, solo così si ha la possibilità di poter esprimere ciò che le parole spesso non riescono ad esprimere.
    “Creatività non vuol dire improvvisazione senza metodo: in questo modo si fa solo della confusione e si illudono i giovani a sentirsi artisti liberi e indipendenti. La serie di operazioni del metodo progettuale è fatta di valori oggettivi che diventano strumenti operativi nelle mani di progettisti creativi.” (Bruno Munari, Da cosa nasce cosa, 1981)

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  7. Il mio metodo di insegnamento si ispira all'idea centrale secondo cui l'alunno è protagonista attivo, costruttore della sua conoscenza, capace di pensiero strategico e autoconsapevole, co-costruttore con i suoi compagni e con il docente della propria conoscenza, attraverso la cooperazione e la negoziazione dei pensieri. Ritengo che nella scuola di oggi l'insegnamento puramente diacronico-lineare, di tipo trasmissivo, sia ormai sorpassato e inadeguato. L'insegnante deve necessariamente sviluppare una pedagogia attiva, incentrata sulla partecipazione, sul coinvolgimento, sul senso critico e sull'autonomia di ragionamento da parte degli allievi.
    Per rendere significativo l'apprendimento della mia disciplina utilizzo varie strategie: innanzitutto, cerco di stabilire da subito un rapporto di dialogo e fiducia con i miei alunni; al contempo, chiarisco quali sono gli aspetti comportamentali su cui non transigo e la mia filosofia dell'insegnamento. Stabilito un clima relazionale il più possibile sereno e quindi un contesto di apprendimento armonico, svolgo le attività didattiche cercando sempre di motivare gli alunni, di comprendere le loro esigenze, di sottolineare il positivo e ridimensionare l'insuccesso, senza trascurare mai di responsabilizzarli nei confronti dello studio, delle regole e degli impegni presi.
    I principi didattici fondamentali a cui mi ispiro sono diversi: fra questi vi sono quelli dell'individualizzazione e della personalizzazione, secondo cui gli studenti sono in grado di acquisire le competenze fondamentali del curricolo a patto che vengano offerti tempi e metodi didattici adeguati, per garantire a tutti e a ciascuno, nella propria diversità, il raggiungimento degli obiettivi predisposti dalla programmazione curricolare; accanto alla didattica disciplinare specifica, utilizzo poi una didattica metacognitiva, per promuovere la consapevolezza del proprio metodo di apprendere (imparare ad imparare) e quella del problem solving, favorendo la scoperta e l'esplorazione, l'individuazione di nuovi problemi, soluzioni originali, ecc. Inoltre, ritengo indispensabile incoraggiare forme di apprendimento collaborativo (aiuto reciproco, apprendimento tra pari, cooperative learning), anche attraverso l'uso delle tecnologie e dei mezzi di comunicazione informatici. Infine, ritengo utili le attività didattiche laboratoriali, per stimolare l'operatività e la creatività degli alunni.
    Nella mia progettazione didattica cerco di non trascurare mai una diagnosi in ingresso; la formulazione di obiettivi didattici e dei traguardi di apprendimento, in base ai quali scegliere i contenuti e le attività didattiche, i materiali da usare, i tempi, gli strumenti e gli spazi; le attività di verifica (iniziali, intermedie e finali), per monitorare il raggiungimento degli obiettivi.
    Negli ultimi due anni mi sto occupando di due casi di disabilità, in particolare seguo un bambino affetto da ritardo psico-motorio e un bambino autistico che richiedono strategie di insegnamento specifiche, tratte dalle sperimentazioni nell'ambito dell'analisi del comportamento (Applied Behavior Analysis - ABA) e che tendono a far acquisire condotte più adattive, affinché vengano mantenuti e impiegati nel tempo. Ad esempio, utilizzo spesso la "task analysis" (o analisi del compito), attraverso cui si riducono gli obiettivi e si organizzano in sequenze graduali di difficoltà per facilitarne l'apprendimento; alcuni aiuti (prompts); tecniche di prompting e fading, con molteplici materiali di stimolo facilitati e facilitanti, ecc. Con il bambino autistico, la tecnica che utilizzo maggiormente è però quella del rinforzamento positivo sistematico che si basa sul principio fondamentale del paradigma dell'apprendimento operante teorizzato da Skinner, secondo cui un comportamento si rafforzerà, aumenterà cioè in frequenza e probabilità di emissione se sarà seguito da un rinforzatore (positivo e negativo) vissuto dal soggetto che emette il comportamento.
    Mariapia Biancucci

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  8. Già dal primo giorno, dopo le presentazioni e la conoscenza degli alunni, comunico delle regole comportamentali e disciplinari che gli studenti dovranno rispettare durante tutto l'anno scolastico. Successivamente, presento in sintesi il programma disciplinare da svolgere, i libri di testo da impiegare, come saranno strutturate e svolte le verifiche e quali saranno i parametri di riferimento per la determinazione delle valutazioni. Inoltre, mi soffermo nella descrizione degli obiettivi minimi e delle competenze che a fine anno si dovranno raggiungere. Ciò mi permette di aprire una discussione con gli alunni volta a far emergere le preconoscenze possedute e avere una visione complessiva della classe.L'importanza delle preconoscenze è sottolineata da Ausubel che la evidenzia come fattore decisivo per l'esito dell'apprendimento. Un apprendimento significativo infatti si realizza solo se l'allievo riesce a mettere in relazione le nuove conoscenze con quelle pregresse, già conosciute. Nelle nuove classi, dunque, svolgo nelle prime lezioni delle verifiche di ingresso e dei test scritti strutturati, semi strutturati o a risposta aperta. Inoltre, svolgo lezioni di recupero per cercare di livellare ed omogeneizzare le conoscenze di tutti e indispensabili per avviare il programma disciplinare.In quest'ottica, condivido l'idea secondo la quale l'apprendimento, in genere, nasce da un "problema" in un contesto reale e si attua attraverso un'azione riflessiva (concetto riconducibile a Dewey). La mia lezione è di tipo euristico, cioè lascio che l'allievo abbia un ruolo attivo nel processo di apprendimento secondo la concezione della didattica erogativa aperta. Secondo tale prospettiva, l'insegnante non fornisce solo i contenuti già strutturati ma lascia alcuni spazi agli studenti attraverso domande, frasi da concludere, un problema avviato e da terminare, la presentazione di un problema da risolvere interamente, ecc.
    In ogni caso si attribuisce all'alunno una maggiore responsabilità e partecipazione attiva affinché formuli delle ipotesi e diventi autonomo, critico e creativo nei confronti dei contenuti trasmessi.
    Per migliorare l'apprendimento utilizzo il metodo del "rinforzo positivo" che, secondo Skinner serve a gratificare l'alunno quando compie un comportamento valido e a rafforzare la sua autostima, la motivazione intrinseca e il senso di sicurezza. Inoltre, dinanzi a compiti complessi, seguo un approccio tutoriale nel senso che gradualizzo l'apprendimento riducendo il carico cognitivo con una costante interazione e considerando il ritmo di apprendimento di ogni alunno.
    Quindi, dinanzi a compiti complessi cerco di scomporre, scorporare e sequenzializzare, cioè se il carico cognitivo intrinseco è alto attuo procedure volte a ridurlo, proponendo un compito globale semplificato, suddividendo il compito in varie sequenze. L'allievo infatti apprende di più e più velocemente se gli viene mostrato con esempi chiari cosa deve fare o imparare (padronanza guidata e progressiva dissolvenza).Secondo la concezione della scuola attiva promossa da Dewey all'inizio del secolo scorso, è molto importante il contesto sociale e collaborativo in cui avviene l'apprendimento, per cui una delle forme più concrete di tale filosofia si realizza nel lavoro di gruppo che utilizzo in vari modi e situazioni: ad esempio, il peer tutoring o reciprocità di sostegno attraverso cui gli allievi si aiutano l'un l'altro e apprendono dal fatto stesso di insegnare; il cooperative learning, cioè attività di gruppo orientate al conseguimento di un risultato comune da parte di più persone, ecc.La mia attività didattica si avvale altresì di modalità e strumenti di comunicazione svariati: la viva voce, la parola scritta, le immagini, i video e altri sussidi tecnologici, quali la lim, il videoregistratore, il computer, internet, ecc. Penso che le immagini possano aiutare a migliorare la comprensione di alcuni argomenti se integrative di lezioni frontali. Biagio Biancucci

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  9. Le mie metodologie didattiche posso riprendono per molti aspetti il mondo delle principali teorie dell’apprendimento e le loro significative implicazioni per la didattica, anche senza averle prima studiate, ma per semplice buon senso. Ad esempio l’importanza di richiamare la dimensione dell’autostima e del senso di sicurezza che autori come Rogers, Sullivan o Maslow mettono in rapporto con l’apprendimento; il rinforzo positivo, cioè la reazione gratificante che si deve fornire quando l’allievo mette in atto un comportamento valido, che secondo Skinner è il fattore più importante per apprendere; il feedback e la valutazione formativa, il connettivismo con l’avvento di internet;… tutti atteggiamenti che ci appartengono anche senza saperlo aiutandoci nella didattica in relazione agli studenti con cui ogni giorno ci confrontiamo. Così da studente ho esaminato i comportamenti e le strategie dei miei insegnanti, col senno di poi, per quelli dell’adolescenza e con senso critico quelli di oggi, ho cercato di capire e fare miei quelli che hanno avuto in me un riscontro positivo e di successo facendomi amare una materia o un argomento e di evitare quelli che meno mi hanno resa partecipe. Studiando questi comportamenti mi hanno fatto crescere a livello professionale ed arricchito la mia esperienza che in realtà è di appena 6/7anni, ma con la precarietà, cambiando classe ogni anno, vivo situazioni sempre diverse, magari simili, ma ogni alunno reagisce ovviamente in maniera personale e quindi il mio impegno e la mia pazienza deve rimanere costante. In generale spiego sempre prima tutto il lavoro, coinvolgendo gli alunni nell’organizzazione, magari spingendoli a darmi delle loro indicazioni e non assegnando il compito da eseguire senza renderli partecipi. Cerco di attualizzare gli argomenti con i temi che trattiamo coinvolgendoli portando a scuola riviste, articoli, siti internet dove potersi documentare, trasmettendo il mio impegno e la mia passione non solo con il lavoro che si svolge a scuola, ma mostrando interesse anche per quello a casa. Nella didattica seguo molto il metodo di Munari: “Saper vedere”, spingendoli a fare ricerche storico artistiche sul tema, in Internet, su riviste e anche portandoli in biblioteca, spesso mi rendo conto che non ci sono mai entrati!; “Saper progettare”, iniziando attraverso delle mie indicazioni metodologiche ad approcciarsi al compito con schizzi preliminari, a volte, prima in maniera individuale, poi facendoli lavorare in piccoli gruppi per confrontarsi e riuscire a progettare un prodotto definitivo più originale carico delle loro singole indicazioni; “Saper realizzare”, arrivare con l’esperienza pratica al prodotto finito. Controllo spesso gli elaborati dando sistematicamente indicazioni individuali cercando di fargli acquisire una sicurezza nella metodologia di realizzazione del progetto. Alla consegna spesso l’incoraggio ad una autovalutazione cercando di farli maturare in maniera critica.
    Non sono delle strategie prese da libri, ma semplice esperienza vissuta, che non ha canoni precisi ma che devo riadattare come già detto ad ogni singola classe.
    In ogni caso il comportamento, la metodologia, è una conseguenza della filosofia di insegnamento di cui abbiamo parlato precedentemente.

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  10. Nell’insegnamento conta l’esperienza e l’intervento umano, dove fra le persone coinvolte si instaura un rapporto vivo: il docente e il discente coinvolti insegnano e imparano contemporaneamente.
    Nel mio insegnamento cerco di pormi sempre come docente-ispiratore e di creare un clima emozionale, una relazione di fiducia e di rispetto, ponendo attenzione tra i partner dell’attività educativa e disponibilità a mettermi dal punto di vista dell’allievo.
    Il mio insegnamento tiene in considerazione il fatto che il docente ha essenzialmente un ruolo di mediazione, di sostegno, di supporto, di accompagnamento, di stimolo e di ispirazione alla formazione della persona.
    Innanzitutto il docente deve imparare ad individuare la domanda e i bisogni formativi di ogni alunno, deve lavorare al fine di rafforzare le abilità di scelta, di decisione e di autovalutazione della persona (empowerment).
    La centralità della persona nell’intervento formativo significa che lo studente con la sua individualità e diversità (età, genere, appartenenza sociale e culturale, valori, aspirazioni, attitudini, etc.) è al centro dell’azione educativa e costituisce il fulcro dell’azione della scuola nel suo complesso. La persona, nel suo percorso formativo, deve essere messa in condizione di costruire e acquisire competenze, che possano accompagnarlo nei vari momenti della vita e facilitarlo nell’effettuazione di scelte ragionate e consapevoli.

    La mia didattica cerca di essere il più possibile attiva e laboratoriale dove l’aula scolastica è intesa come un “laboratorio” dove gli alunni progettano, costruiscono artefatti e manipolano materiali, prevedono, sperimentano, confrontano e discutono affiancati dal docente mediatore e guida. Il laboratorio, dove lo studente è attore e protagonista, ha un forte valore formativo e, quindi, anche orientante per il suo coniugare insieme sapere e saper fare, nonché per il rendere concreto, reale ed efficace l’apprendimento.
    Anche il far rete (networking secondo Siemens e Downes) è un fattore decisivo dell’apprendimento soprattutto oggi che la tecnologia, fortemente avanzata, offre opportunità e facilitazioni notevoli in ogni settore di apprendimento, peraltro flessibile e adattabile a qualunque esigenza e modalità formativa.
    Uno dei modelli che condivido e che per la maggior parte metto in atto, è quello di Merril i cui principi fondamentali dell’istruzione si rifanno a:
    - problem: soluzione di problemi reali, in cui viene mostrato il compito che gli studenti saranno in grado di realizzare al termine del corso, iniziando con dei compiti semplificati e che diventeranno sempre più difficili (es. i materiali più adatti a realizzare un abito progettato);
    - activation: attivare le preconoscenze (anticipatori di Ausubel) come fondamento per la nuova conoscenza (es. Marco Polo e la via della seta);
    - demonstration: mostrare in concreto cosa l’alunno deve fare per raggiungere l’obiettivo, ponendosi come guida che aiuti a selezionare le informazioni, presentare alternative e compararle e collocarle poi in una più ampia prospettiva (concetto di modelling, coaching, scaffolding e fading);
    - application: dare l’opportunità agli studenti di praticare ed applicare le nuove conoscenze o abilità acquisite nella soluzione di una varietà di problemi (es. la merceologia per strutturare una collezione di moda);
    - integration: incoraggiare lo studente a trasferire le nuove conoscenze/abilità nella vita reale e dargli l’opportunità di dimostrare pubblicamente ciò che sa o sa fare (es. una sfilata di moda).
    In ultimo, ma non meno importante, ritengo che le conoscenze debbano essere riconsiderate a distanza di tempo in una luce più essenziale o riattraversate da altre angolature (Bruner, cognitivismo e teoria della flessibilità cognitiva).

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  11. 1.2-Come insegna e che metodologie didattiche utilizza ?

    Quando mi approccio con le nuove classi la prima cosa che faccio è quella di presentarmi, parlo loro del mio amore verso la mia materia e il percorso di studi che ho intrapreso. Insegnando una materia pratica, le mie lezioni si svolgono in un laboratorio con attrezzature spesso nuove per gli allievi. Cerco quindi di farli familiarizzare con l’ambiente in cui si troveranno a svolgere le lezioni, inizio ad anticipare(Ausubel, advance organizer) in forma comprensibile, quelli che saranno i punti cardine d’acquisire(Scafold), così da dare alcune precoscenze all’allievo per una comprensione immediata. Essendo una materia nuova, nelle prime lezioni si legge negli occhi degli allievi un po’ di sconforto. Sono un po’ spaventati dalle piccole regole e calcoli matematici, ma come sostiene Skinner il fattore importante per apprendere è il “rinforzo positivo”. Li invoglio aiutandoli, se serve anche ad uno ad uno, soprattutto negli aspetti base che serviranno per il percorso di studi. Cerco di semplificare e inserire terminologie tecniche gradualmente, così da non appesantire il “carico cognitivo”, perché all’inizio l’allievo non è in grado di trovare le giuste conoscenze tra le nuove conoscenze e le preconoscenze. Insegno attraverso l’esempio “dimostrativo” ponendo al centro dell’attenzione degli allievi “cosa devono fare”, impegno uno strumento( come ad esempio la macchina da cucire) faccio vedere le sue componenti e come si utilizza (modelling)li faccio provare standogli vicino favorendo un graduale sviluppo dell’autonomia (coeching), correggo eventuali errori facendo vedere la procedura (scaffolding) riduco poi progressivamente l’aiuto guida (fading) così da affrontare da soli il compito che via via sarà più complesso finchè la guida “si dissolve” (Collins e Newman –Apprendistato).
    Quando devo spiegare nuovi argomenti, per far si che le conoscenze non rimangano soggette ad un rapido declino, rendo partecipe tutta la classe, facendoli ragionare su quello che poi si andrà a fare. Aiuto gli allievi con esempi ed elementi già affrontati in passato, facendo una sorta di ripetizione, portando alla luce ciò che si sa già orientandoli verso una consapevole modifica/ ristrutturazione delle preconoscenze, in questo modo le conoscenze che entrano nella memoria semantica saranno conservate a lungo (Bruner – teoria della flessibilità cognitiva).

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  12. Come insegna?
    E’ comprensibilmente differente l’approccio che ho con le classi iniziali (prime, seconde) da quelle finali. Nelle classi iniziali vanno stabiliti i “confini” educativi di base: rispetto per l’istituzione, per tutto il personale della scuola, per i compagni di classe e vanno esposte e condivise le sanzioni previste per il mancato rispetto delle regole. Solitamente nel primo biennio gli studenti hanno bisogno di maggiore direttivita’ e interattivita’ stretta (con piccoli compiti o esempi e dimostrazioni da imitare e controllare passo passo). Il tipo di lezione che maggiormente impiego in questi contesti e’ quella “anticipativa” volta a testare le preconoscenze e a creare curiosita’ verso l’argomento da trattare. Nelle classi finali dove solitamente c’e’ maggiore expertise e capacita’ di autoregolazione, propongo una lezione “euristica o socratica” dove l’insegnante e lo studente cooperano. Abbino alla lezione suddetta il peer tutoring che ho rilevato essere molto utile sia per l’allievo che aiuta che per l’allievo che viene aiutato. Infine, soprattutto nelle quinte classi, sperimento l’apprendimento cooperativo dove lo studente e’ impegnato in attivita’ che lo obbligano a ragionare. Lo scorso anno scolastico ho partecipato a degli incontri, tenuti dal coordinatore italiano del progetto Profiles, il Prof. Liberato Cardellini dell’Universita’ Politecnica delle Marche, in cui il suddetto ha spiegato come applicare efficacemente l’apprendimento cooperativo, un metodo volto a migliorare la preparazione e l’acquisizione di abilita’ cognitive negli studenti. Il primo incontro si e’ aperto con due slide: la prima mostrava l’immagine di un bambino sorridente il primo giorno della scuola primaria e conteneva un sottotitolo che recitava “Dalla gioia……”; la seconda offriva la foto di un ragazzo dell’ultimo biennio della secondaria, visibilmente disinteressato ed era sottotitolata “…..alla noia”. Queste due immagini semplici e forti allo stesso tempo,credo comunichino la storia della scuola italiana attuale, per la quale noi insegnanti dobbiamo impegnarci ad eliminare o almeno ridurre le cause che conducono i nostri ragazzi alla noia. Sicuramente proporre degli efficaci metodi didattici, aiuta ad allontanare la noia dai nostri studenti e a prevenire il disagio scolastico che e’ il terreno su cui puo’ svilupparsi qualsiasi forma di devianza.

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  13. Come insegna?
    “ IO SO DI NON SAPERE ”.Questa consapevolezza socratica mi accompagna ogni qual volta entro in una nuova classe. Ogni anno, rimetto in discussione strumenti e strategie, cercando di costruire un formato di riferimento da cui poter attingere, ma le variabili e le combinazioni sono talmente molteplici da credere di non poter smettere mai di “ non sapere “. Anche se insegno solo da 6 anni, ho constatato che un’ottima conoscenza della materia d’insegnamento e la passione per essa non basta se non conosci a fondo il tuo “ nemico”. Insegnando spesso in 1° classi, per me è fondamentale uno screening iniziale dell’ambiente e degli allievi. Quasi sempre non hanno una conoscenza pregressa della materia, per cui, le prime lezioni sono orientate non solo a fornire i contenuti necessari per il sapere, ma sono associate anche ad una metodologia per una’acquisizione corretta della stessa. La conoscenza viene suddivisa in piccole unità, dalle più semplici alle più complesse, il tutto affiancato da un esempio dimostrativo : essendo, la mia, una materia Teorico- Pratica, la teoria non può essere compresa senza un’esplicitazione pratica, quindi l’allievo viene messo in azione con esercizi in itinere, con i quali può verificare le conoscenze acquisite nell’immediato. Nelle classi più adulte, si presuppone che una certa metodologia , che sia naturale o insegnata, sia stata già acquisita, non è sempre cosi, a questo si rimedia attraverso dei feedback, con i quali si corregge tutto ciò che c’è di negativo e si intensifica ciò che c’è di positivo,dopo si può procedere all’inserimento di formule di problem solving e di espressione autonoma. In generale,tutto ha una procedura sequenziale ed elementare associato ad un apprendimento pratico fondato su alcuni elementi fondamentali, in cui il problema ( Problem) da risolvere inizia da un livello facile e diventa progressivamente più difficile, la pre-conoscenza viene attivata ( Activation) come fondamento della nuova, una dimostrazione ( Demostration ) concreta della procedura facilita l’apprendimento e l’applicazione ( Application ) dell’ apprendimento è facilitata se viene praticata attraverso la soluzione di una varietà di problemi per favorire il transfert delle conoscenze, ed in fine l’alunno viene incoraggiato a trasferire le nuove conoscenze/abiltà nella vita reale ( Integration )- ( Merrill 2001). Come insegnante alle prime armi, potrei dire che, bisognerebbe dare a qualsiasi allievo, una struttura metodologica su cui fare affidamento, ma allo stesso tempo renderlo soggetto dell’azione, in questo modo tutto può essere condiviso, verificato e rielaborato. Bisognerebbe tener conto individualmente di ciascun alunno, ma senza perdere di vista l’insieme,in modo tale da poterne beneficiare tutti. L’aula dovrebbe essere un luogo positivo e di interazione, in cui ci sia fruizione di contenuti emotivi e non, tanto da innescare una forma empatica tra docente-discente.

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  14. Insegnando ormai da 13 anni in istituti professionali le materie di Disegno e Laboratorio di abbigliamento e moda prediligo necessariamente una didattica laboratoriale e di progetti…dove l’esposizione dell’insegnante risulta essere breve, schematica e orientativa con esempi visivi concreti alla lavagna o da lavori precedentemente svolti; ho sperimentato anche un intervento multimediale di ricerca e di comunicazione visiva ma è un approccio che mi mette spesso in discussione.
    Tutto il lavoro è poi centrato in modo particolare in attività grafiche e pratiche individuali e anche a piccoli gruppi in laboratorio. La mia linea di insegnamento è spesso un intervento individuale anche dimostrativo dove correggo e verifico l’apprendimento, ma non esito anche a trovare quel momento di confronto con l’allievo dove nasce appunto la valutazione. ( es. modellamento/pratica guidata)
    Visto che lavoro spesso con le immagini, Mayer nel testo cita che “si apprende meglio da parole abbinate ad immagini piuttosto che da sole parole” e questo l'ho sperimentato molte volte in classe, ma rifletto anche sui punti che invece affronta Clark riguardo le funzioni psicologiche-didattiche delle immagini e secondo lui “ l’immagine non aiuta ma ostacola l’apprendimento”.
    Ciò che mi colpisce e mi sembra importante puntualizzare la riflessione nel cercare di orientare l’attenzione degli alunni sugli aspetti rilevanti selezionando con cura strumenti e codici di comunicazione. Da una parte mi sento affascinata dalla comunicazione visiva e multimediale che caratterizzano in un certo qual modo la ricerca e la progettualità delle discipline che insegno, ma allo stesso modo tendo a rifiutare questa metodologia proprio perché oltre a cattura in modo seduttivo l’attenzione, crea forti suggestioni emozionali che disorientano e distolgono dagli obiettivi prefissati. E’ vero che siamo circondati da un mondo digitale e multimediale ma penso che la scuola debba ancora svolgere un certo ruolo con adeguati riferimenti.
    A volte in certi contesti classe ho sperimentato il confronto tra i lavori fra allievi, sicuramente significativo ma difficile da gestire, da proporre più nelle ultime classi dove l’obiettivo si avvicina maggiormente verso il raggiungimento di una maturità e di una certa autonomia. Ho riscontrato maggiormente uno scambio costruttivo e di collaborazione reciproca nel lavoro a piccoli gruppi soprattutto perché nelle scuole professionali molto numerosi sono gli alunni con complessità dove mi sembra utile il processo di cooperazione, ma oltre a questo penso che non focalizzare sempre il lavoro solo su se stessi possa far crescere e migliorare l’apprendimento.
    Elisa Giuliani

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  15. L’impatto con la scuola rappresenta una delle esperienze più significative nella formazione personale per tutti gli studenti e, in particolare, per coloro che si trovano in una situazione di svantaggio: il disagio scolastico con le sue diverse manifestazioni, la disabilità, le differenze interculturali, l’emergere di bisogni educativi speciali costituiscono realtà molto complesse. Efficaci strategie di insegnamento risultano, dunque, dei potenti strumenti di inclusione scolastica e di promozione del successo formativo e personale di ogni discente. È in questa ottica che cerco di “modellare” la mia azione didattica.
    In primo luogo, osservo e valuto il clima prevalente all’interno della classe, studiando le dinamiche interpersonali e le relazioni tra coetanei, consapevole anche dell’importanza che assume l’interazione tra docente e alunno. All’osservazione attenta e partecipe, faccio seguire una discussione volta a far emergere le preconoscenze di ognuno, il loro grado di “expertise” e conoscenza del dominio, sulle quali potrò stabilire quali strategie e metodologie didattiche utilizzare per presentare i nuovi contenuti da apprendere. L’interconnessione tra le preconoscenze che l’alunno già possiede e le nuove conoscenze rappresenta un passaggio di grande importanza: infatti, come sostiene Calvani: «gran parte del lavoro educativo dell’insegnante dovrebbe essere, dunque, rivolto a portare alla luce quanto lo studente già sa e ad orientarlo eventualmente verso una consapevole modifica e ristrutturazione delle preconoscenze».
    Nella pratica didattica, utilizzo la lezione anticipativa con cui introduco e presento brevemente agli allievi, utilizzando un linguaggio semplice e familiare, concetti o modelli che “anticipano” le acquisizioni fondamentali che dovranno essere apprese o i criteri organizzativi del lavoro da svolgere. Ciò fornisce una visione preliminare d’insieme che orienta l’alunno sugli aspetti rilevanti e limita il suo carico cognitivo, riducendo, così, i fenomeni di dispersività e di frustrazione.
    Procedo poi alla verifica in itinere: utilizzo una valutazione formativa per controllare la comprensione dello studente e, se i risultati non sono adeguati, ristrutturo, modifico e semplifico il compito. In caso di difficoltà predispongo, come suggerisce Rosenshine, routine specifiche per aiutare chi è più lento e fornisco una supervisione. Soltanto quando aumentano l’expertise e la capacità di autoregolazione da parte degli alunni, alterno alla lezione anticipativa la lezione euristica. Per favorire l’apprendimento, cerco di suddividere (Chunking-Skinner) i contenuti più complessi in piccole unità di conoscenza – dal semplice al complesso – fornisco feedback e predispongo domande o esercizi mirati al controllo immediato delle risposte. Cerco di insegnare anche attraverso l’esempio dimostrativo: «come si deve fare, come si usa uno strumento, come si applica una procedura» (Modellamento /Pratica guidata), accompagnando poi queste dimostrazioni con il pensiero ad alta voce. Questo incoraggia gli alunni ad interiorizzare la procedura avvalendosi anch’essi di quel pensiero ad alta voce, di quel “parlare dentro di sé” di Wygotskij, importante strumento di autoregolazione e di controllo metacognitivo (Zimmerman).
    Noto che la pratica didattica di padroneggiamento guidato risulta molto efficace: l’«apprendistato cognitivo» (Collins e Newman) consente agli alunni di raggiungere una crescente autonomia in seguito alla dissolvenza, fading, del ruolo dell’esperto, passando a compiti più complessi man mano che si acquista maggior esperienza.
    Ciò porta i ragazzi a sperimentare e ad incrementare il proprio senso di autoefficacia e a rafforzare quella motivazione intrinseca, quel piacere in sé dell’apprendere e dell’uso della nuova conoscenza, che rappresentano l’obiettivo fondamentale di ogni processo di insegnamento.

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  16. Come insegna e che metodologie didattiche utilizza?
    Insegnando da solo 6 anni affermo che una corretta metodologia didattica deve partire sempre dall'alunno/a, cioè dalla sua situazione di partenza (di carattere non solo cognitivo ma anche socio – relazionale, in base all'ambiente in cui vive -Dewey), quindi dai prerequisiti che possiede in relazione ad alcuni contenuti disciplinari da apprendere (in mancanza dei quali ci si attiva per un recupero o per un'eventuale ridimensionamento dei contenuti o degli obiettivi). In tal modo si renderà l'apprendimento significativo per gli alunni, poiché si partirà dai loro interessi, dai bisogni formativi, dalla realtà socio – culturale in cui vivono, mantenendo, così, alto il livello motivazionale e l'interesse e premiando l'applicazione. Mi avvalgo di una metodologia frontale “lezione anticipativa” (Ausubel “nozione di advance organizers -anticipatore) presento in forma molto chiari e comprensibile, una prima idea di quelli che saranno i punti essenziali da acquisire e facendo capire al gruppo classe le preconoscenze che serviranno per un’immediata comprensione e le conoscenze che servono a sua volta per svolgere il nuovo argomento. Mostro loro, come dovranno svolgere l’argomento, attraverso esempi dimostrativi come bisogna applicare una determinata procedura (modelling) es: rappresentare graficamente i diversi modelli proposti per la collezione moda, ed io eventualmente correggo (modellamento/pratica guidata). A sua volta cerco di incoraggiarli a far affrontare il lavoro da rappresentare es: rendere il lavoro personale e creativo (coaching) fornendo a sua volta dei strumenti utili e materiali di supporto per lo svolgimento del lavoro (scoffolding) e mostrando alle allieve ad apprendere suggerimenti es: sequenza ordinaria per l’esecuzione di un prodotto moda, facendole capire in che modo deve impostare il lavoro da svolgere, poi pian piano passando ad un compito più complesso, al fine di lasciarle sole ad affrontare il compito più complesso assumendosi una maggiore autonomia (fading) e…mi ritrovo spesso nei momenti di difficoltà da parte delle allieve a ragionare ad alta voce sulla problematica dell’argomento (problem solving) il contenuto viene proposto sotto forma di problematizzazione , affinché diventi anche motivo di riflessione da parte dell'alunna. Ed io come insegnante ritengo che sono di un’importanza fondamentale anche i compiti da svolgere casa, rappresentano un percorso di autonomia e pratica, assumendosi una responsabilità nelle attività di studio. Nelle ore di compresenza, mi avvalgo dell’apprendimento collaborativo (Dewey) dove all’inizio disponevo gruppi numerosi, però poi mi sono resa conto con il passare del tempo mi ritrovavo ad affrontare gruppi che tendeva a distrarsi, invece ora riesco ad affrontare l’argomento con facilità con il lavoro di gruppo con 3-4 unità, dando ad ognuno di loro un compito-ruolo ben preciso e in modo che loro possano affrontare l’argomento insieme.

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  17. 1.2 Come insegna e che metodologie didattiche utilizza?
    Dopo un primo approccio con la classe basato su una mia presentazione e un colloquio con gli allievi, cerco di capire che classe ho di fronte e quindi quale metodo adottare per rendere le lezioni più efficaci.
    Nonostante non esiste un metodo univoco, adotto comunque dei punti per me essenziali.
    Innanzitutto è fondamentale fare tre letture di un testo, nella prima si inizia a sottolineare o evidenziare frasi importanti, è essenziale poi ritornare sul testo per analizzare le parti sottolineate (seconda lettura) ed una terza lettura in cui si potrebbe scrivere a margine del testo i punti-chiave necessari per sviluppare un riassunto. Alla fine delle tre letture è utile fare degli schemi o diagrammi per avere un’elaborazione e una memorizzazione più profonda del testo. Attraverso il mio metodo delle tre letture mi collego, quindi, alle strategie di studio adottate da Paoletti ossia ripetizione, elaborazione e trasformazione.
    Siccome insegno la disciplina disegno e storia del costume, mi avvicino molto alla teoria dell’Attivismo di cui Dewey è uno dei massimi esponenti. E’ fondamentale, quindi, l’attività di laboratorio, il fare la pratica, oltre che la teoria e quindi partecipare alle lezioni in modo concreto.
    Durante le mie lezioni utilizzo molto il principio di multimedialità secondo il quale si apprende meglio da parole abbinate a immagini piuttosto che da sole parole, e il principio di contiguità temporale ossia presentando le immagini contemporaneamente abbinate alla teoria in modo che il testo sia molto esplicativo.
    Elisabetta Scotti

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  18. Il mio metodo d’insegnamento, sebbene si adatti alla classe in funzione delle sue caratteristiche (età, livello culturale, interesse nei confronti della materia, ecc.), parte essenzialmente da schemi ben precisi.
    In genere, quando sono in aula, gran parte della mia attività di insegnamento (soprattutto delle discipline orali) è caratterizzata dallo svolgimento di una lezione di tipo ESPOSITIVO, ovvero nell’illustrazione di contenuti svolta per lo più ininterrottamente; durante questa attività cerco di tenere ferma l’attenzione della classe attraverso il controllo della cadenza espositiva, della pronuncia, del tono e della caratterizzazione della voce. Inoltre, tengo in forte considerazione le PRECONOSCENZE della classe in merito all’argomento che sto trattando visto che, secondo tutto il COGNITIVISMO e, in particolare, AUSBEL, l’esito dell’apprendimento dipende essenzialmente dal modo in cui le nuove conoscenze sono messe in relazione con quelle già possedute. Ecco perché cerco sempre di riallacciare il mio discorso ad argomenti trattati in altre lezioni o derivanti da altre discipline se non, addirittura dalla loro esperienza personale visto che molte ricerche, tra cui quella di GARDNER, mostrano che, conoscenze di senso comune sopravvivono nella mente degli allievi nonostante la didattica scolastica.
    A volte la lezione può prendere una piega NARRATIVA; autori come BRUNER E SCHANK valorizzano il pensiero narrativo in quanto permette una più immediata comprensione grazie al coinvolgimento emotivo e all’immaginazione.
    In genere, prima di introdurre un nuovo argomento, faccio un breve riepilogo degli argomenti trattati precedentemenete in modo da far riaffiorare le preconoscenze; poi passo ad una presentazione definendo la meta della lezione e dando brevi informazioni che ANTICIPANO le acquisizioni fondamentali che dovranno essere apprese. Durante l’esposizione cerco di mettere in evidenza i collegamenti tra le conoscenze e alla fine della lezione concludo con una BREVE SINTESI. Il richiamo alle lezioni precedenti, la messa in evidenza dei collegamenti e la sintesi finale sono alcuni tra gli schemi di comportamento dell’INSEGNAMENTO EFFICACE studiato per lungo tempo da ROSENSHINE, mentre il concetto di ANTICIPAZIONE si rifà alle teorie di AUSBEL.
    A seconda del tipo di classe, poi, il metodo d’insegnamento può variare dall’esposizione lineare dell’argomento, in cui gestisco quasi completamente le decisioni sul ritmo e sul modo di esporre, a quella di tipo EURISTICO O SOCRATICO in cui all’illustrazione dei contenuti alterno domande e ipotesi che, sempre secondo BRUNER, portano i ragazzi a cooperare nella formulazione dei contenuti; in genere questo secondo tipo di approccio è utile nel rendere gli alunni più maturi e disposti all’interazione. Durante questi scambi è molto importante per me fornire FEEDBACK ai ragazzi in modo che essi si sentano guidati verso la formulazione di ragionamenti e inoltre tendo sempre a gratificare lo sforzo da essi fatto secondo le teorie di SKINNER sul RINFORZO POSITIVO affinché i ragazzi si sentano MOTIVATI sia ESTRINSECAMENTE (attraverso la lode) che INTRINSECAMENTE (attraverso il piacere di apprendere).
    Infine, attribuisco molta importanza al modo in cui avviene la valutazione che, come dico sempre ai ragazzi, non è un numero fine a se stesso né una sentenza inoppugnabile ma uno strumento che serve soprattutto a loro per capire se stanno svolgendo bene il loro lavoro mettendo in luce gli eventuali difetti per poi correggerli. In questo senso, mi trovo d’accordo con il concetto di VALUTAZIONE FORMATIVA il cui scopo è quello di riorientare l’allievo in vista dell’obiettivo finale.
    Valentina Bruni

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  19. 1.2 Come insegna? E che metodologie didattiche utilizza?
    La disciplina che insegno, decorazione e cottura dei prodotti ceramici, è tutta incentrata sull’uso delle immagini, considerata la loro capacità comunicativa in senso simultaneo, riesco ad accattivare l’interesse degli studenti.
    Le immagini da me utilizzate hanno una funzione comunicativa-decorativa di puro abbellimento.
    Cerco di orientare l’attenzione su una visione globale dell’oggetto, quindi in questo contesto hanno un ruolo fondamentale altri aspetti come il bilanciamento cromatico o formale, rispetto alle capacità comunicative illustrate nel testo consigliato.
    Durante il mio percorso da insegnante sono entrata in contatto con realtà diverse tra loro. Ho insegnato ad esempio in una scuola dove la tradizione ceramica è molto forte, in un’altra dove essa ha subito l’industrializzazione, ed anche in una scuola dove non c’è affatto la tradizione. Tenendo presente quanto detto a volte il mio compito è facilitato, altre volte necessita di un intervento che miri a semplificare i termini propri della mia materia.
    All’interno dell’aula il ragazzo si sente a proprio agio in quanto la lezione si svolge in un laboratorio, dove è libero di muoversi comunicare e confrontarsi con gli altri.
    Consorti Milva

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  21. Per quanto concerne il mio modo di insegnare cerco sempre di adattare il programma alla classe e di conseguenza al contesto spesso differente e frammentario che mi trovo a modellare. L'individualizzazione come tecnica d'insegnamento cerca di adattare l'istruzione alla necessità dell'allievo, pur mantenendo fisso l'obbiettivo prefissato. Proprio per questo motivo parto sempre dall'accertamento delle conoscenze pregresse tramite dei test dei prerequisiti, in modo da individuare punti di forza, criticità e il livello degli alunni cosi da colmare le lacune tramite percorsi di recupero o interventi didattici mirati. In tal senso fondamentale è il consolidamento che serve a richiamare nella mente dell'alunno le conoscenze precedentemente acquisite con nuove riflessioni a distanza di tempo. Questo lo si può fare tramite semplici e tradizionali ripassi per poi trovare una giusta integrazione con conoscenze di nuova comprensione. L'importanza delle preconoscenze è uno degli apporti dati negli anni sessanta dal cognitivismo. 
    La mia lezione tipo è di carattere espositivo con un linguaggio chiaro ma allo stesso tempo tecnico e appropriato. Nelle mie lezioni faccio riferimento al principio di Mayer della multimedialità, ossia l'integrazione tra testo e immagine tramite l'uso di slides e presentazioni power point, corredate da un giusto equilibrio tra scritto e immagini. Insegnando Storia dell'arte spesso faccio ricorso, per semplificare la lettura dell'opera d'arte e dei periodi, a schede o schemi con esempi guidati di lettura. Il concetto di schema elaborato e impiegato da Piaget indica una struttura capace di rappresentare nuove informazioni mediante concetti generici immagazzinati nella memoria. Interessante è anche l'uso di mappe concettuali di cui il principale teorico fu Novak. Sono utili sopratutto per collegamenti di carattere multidisciplinare tramite l'uso di relazioni e legami. Insieme a schemi e supporti informatici utilizzo anche il più tradizionale libro di testo, spesso utile proprio per l'importanza che le immagini hanno nella mia disciplina. Nell'affrontare un argomento di Storia dell'arte parto sempre dalla visione globale della corrente artistica con quelli che sono i caratteri stilistici principali e poi affronto lo studio delle opere più importanti per affinare i concetti. Per il disegno il discorso è simile. Dapprima bisogna far riferimento agli strumento di base per potersi esprimere e poi di conseguenza si affrontano le varie tecniche di rappresentazione. Un elemento a cui faccio particolare attenzione è quello di di non dare troppe informazioni all'alunno che andranno perse se in sovraccarico. Proprio per questo nel corso della lezione tendo a fare domande, agganci con la lezione precedente o a fare uso degli anticipatori ipotizzati di Ausubel, in modo da dare un "assaggio" di quelli che saranno i punti essenziali da acquisire. Ultima cosa a cui voglio far riferimento è l'importanza della valutazione e di come essa debba essere formativa per il ragazzo cosi da spronarlo verso un eventuale miglioramento e verso un buon risultato finale.
    Raffaella Sciullo

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  22. 1.2: Come insegna e che metodologie didattiche utilizza?
    Didattica (da didaskin = insegnare), riguarda chi insegna e cosa deve fare chi insegna. Il contesto di applicazione della didattica è la scuola, l’interlocutore principale è l’insegnante e i suoi beneficiari sono i giovani in età evolutiva.
    L’attenzione della didattica, oggi si è spostata, come afferma “Calvani”, dal versante dell’insegnamento a quello dell’apprendimento.
    La mia metodologia didattica è quella di predisporre le condizioni di accoglienza, esercizio, mantenimento, consolidamento degli eventi acquisiti, ad individuare sostegni capaci di coadiuvare imprese di apprendimento in forme flessibili e multi dimensionali, dove diviene fondamentale la costruzione di impalcature psicologiche relazionali e tecnologiche in grado di rendere capace l’apprendimento al discente.
    La didattica come ambito conoscitivo si occupa dell’allestimento, consolidamento e valutazione degli ambienti di apprendimento, cioè contesti culturali tecnologici di specifiche azioni umane, ritenuti atti a favorire processi acquisivi.
    Firmato: Pina Saltarelli.

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  23. Come insegno?
    Questa è una bella domanda che fa riflettere.
    Come ho risposto già nella precedente domanda cerco in un primo momento di conoscere i ragazzi e vedere da dove vengono, qual è il loro contesto sociale, quali sono gli interessi extrascolastici.
    Poi avendo un aspetto abbastanza giovanile ristabilisco un minimo di equilibrio professore-alunno, perché spesso associano professore giovane uguale non far nulla.
    Successivamente stabilisco delle regole di comportamento fondamentali, facendo capire agli alunni che non sono per me ma queste regole servono per inserirsi in ogni contesto sociale.
    Dico loro sempre che la mia materia magari usciti dalla scuola non servirà più, ma le regole di comportamento, es. dire buongiorno, salve, sedersi ed avere un atteggiamento composto, utilizzare un linguaggio appropriato, se le porteranno per la vita. Questo deve insegnare in primo luogo un educatore a prescindere dalla propria materia.
    Certamente poi bisogna tornare al programma didattico e cercare di far apprendere all’alunno il più possibile ampliando le conoscenze, anche se oggi non è facile visto che gli alunni sono distratti e distolti da fattori esterni, es. telefonino.
    Bisogna, pertanto, incuriosirli, avendo inizialmente appreso qualcosa di loro nella fase della conoscenza, cerco di dare informazioni richiamando le loro preconoscenze e dare degli spunti che possono incuriosirli, aggiungo in seguito nozioni dell’argomento che provo anche a dimostrare con esempi pratici e spingo loro a fare il resto, ossia a trovare soluzioni o a lavorare sulle alternative, una specie di autoregolazione (Zimmerman) .
    Come già detto in altre risposte cerco di dare più informazioni ed esempi possibile e sono soddisfatta se il mio alunno riesce a mantenere almeno una cosa in tutto l’arco della sua vita.
    Esempio: una volta ero in gita, l’anno precedente avevo cercato di spiegare agli alunni con figure, nozioni cognitive, con i pochi strumenti a disposizione e creati artigianalmente cosa fosse uno stenditoio di tessuti; quando in questa fabbrica di tessuti hanno visto uno stenditoio vero, il meccanismo e la formazione del materasso, subito mi hanno detto “Professoressa guardi lo stenditoio e il materasso, proprio come l’abbiamo visto in classe”, ho provato una soddisfazione enorme.
    Agnese Ascolani

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  25. Il mio metodo di insegnamento si ispira al seguente principio : ” insegnare significa poco più che mostrare in che modo le cose differiscano l’una dall’altra per scopo, forma e origine… pertanto chi ben distingue ben insegna.” (Jan Amos Comenio)
    Anche Ausubel parla di differenziazione a partire dalla base cognitiva già esistente: ciò che rende significativo l’apprendimento è il modo più o meno profondo con cui le nuove conoscenze si integrano nel sistema delle preconoscenze già possedute.
    Perciò distinguere le nozioni di cui si è già in possesso da quelle nuove è fondamentale. La distinzione crea anche un’associazione di idee che rimane profondamente impressa nella memoria. Per fare un breve e semplice esempio, al test d’ingresso del primo anno potrei chiedere ai ragazzi come differiscono i concetti di simmetria e asimmetria, o i termini “orizzontale” e “verticale”; preparando così una base che mi permetta di conoscere il punto di partenza dei miei allievi.
    A questo metodo unisco anche l’utilizzo di esempi tratti dalla vita quotidiana che nella mente si traducono in immagini. (tornando all’esempio di prima, il significato del termine “orizzontale” lo potrei associare all’ immagine della linea dell’ orizzonte).
    Inoltre cerco di non dare mai nulla per scontato, di esplicitare l’implicito.
    L’ ampio uso di domande mi permette di coinvolgere l’attenzione degli alunni ( avete mai sentito parlare di…? Vi ricordate di….? Secondo voi perché è ragionevole fare così….? che ne pensi di questa soluzione….? Hai mai incontrato questo errore….? Secondo te che relazione esiste tra questo concetto e..?). Le domande spingono a ragionare, ad assumere un ruolo attivo e non passivo. Talvolta inducono l’allievo a giungere da solo alla soluzione di un suo stesso dubbio.
    Attraverso l’uso di domande cerco anche di aiutare l’alunno a ragionare sulla base di principi flessibili e non solo di leggi rigide (questo è necessario a motivo del tipo di materia che insegno, materia flessibile ed in continua evoluzione).
    Spesso durante le spiegazioni eseguo il lavoro proposto in modo da dare l’esempio da imitare. Nel momento in cui gli allievi eseguono in prima persona lo stesso lavoro, li seguo individualmente, e gradualmente li lascio lavorare in autonomia (dal modelling al fading).
    A distanza di tempo cerco di far riattraversare agli alunni la conoscenza acquisita alla luce di nuove esperienze, così da interiorizzarla.
    Cerco regolarmente di trovare spunti validi per lodare i ragazzi per il lavoro svolto (rinforzo positivo), arricchendo così la loro autostima e il loro senso di sicurezza (ma con equilibrio).
    Infine mi propongo di motivare i miei studenti facendo capire loro che l’aver acquisito abilità pratiche (come anche semplicemente la capacità di leggere e capire un testo di manualistica) sarà utile anche nel loro domani.
    Laura Franco

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  26. 1.2 Come insegna? E che metodologie didattiche utilizza?
    In questo momento insegno “arte e immagine” nella secondaria di primo grado, questa disciplina mi consente l’utilizzo delle immagini sotto varie forme.
    Da sempre nella storia dell’arte le immagini (sia esse relative a dipinti o sculture) hanno una funzione comunicativa; essa può essere diretta ed immediata come nel caso dei pittogrammi, a sfondo storico, religioso, allegorico, a visione simultanea, può rappresentare la realtà, ecc.
    Grazie a nuovi strumenti multimediali ( ad es. LIM) posso agevolmente effettuare collegamenti fra immagini che hanno queste varie funzioni. Gli argomenti da me trattati possono essere visualizzati tramite un testo che è pieno di immagini (foto di opere d’arte) , attraverso mappe concettuali, schemi e/o sottolineature, cerco di minimizzare il carico cognitivo e di suddividere i vari messaggi presenti nell’opera d’arte. Mi vedo comunque costretto a preparare la lezione di volta in volta modulandola e scegliendo la terminologia appropriata in base al contesto nel quale la lezione si svolge.
    Durante le mie lezioni posso applicare quella che viene definita la “discussione socratica” che consiste nello scambio/confronto di idee tra l’insegnante e lo studente e tra studenti. Nella discussione il docente non è più istruttore ma diventa tutor-facilitatore, che non trasmette conoscenze ma aiuta lo studente in attività cognitive quali ragionare, pensare, argomentare.
    In questo modo gli studenti sucuramente si sentono più coinvolti; però la discussione può presentare anche qualche svantaggio, ad esempio soggetti più introversi potrebbero non trovarsi a loro agio, in questo caso, gli apporti potrebbero risultare dispersivi oppure inconcludenti. La discussione partecipata ha delle condizioni favorevoli: il senso di autocontrollo e la forte motivazione da parte dei soggetti, questi sono fattori più facilmente riscontrabili in soggetti adulti.
    Laielli Donatello.

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  27. Come insegna?

    L’insegnante precario di sostegno spesso si trova a dover ogni anno affrontare diverse tipologie di insegnamento. Nel mio caso valorizzo la sintesi e la semplificazione degli argomenti, aiutandomi con schemi e mappe concettuali. Trovo molto valido il sistema della PECS (Picture Exchange Communication System) ovvero Sistema di Comunicazione mediante Scambio per Immagini che ho utilizzato in ragazzi con problematiche gravi.
    Un’altra tipologia, che considero molto valida, è il modello di Merrill, basato su cinque principi basilari, che lo stesso realizzatore definisce come cardini dell’istruzione: problem, activation, demonstration, application, integration.
    Secondo il modello di Merrill l’apprendimento è facilitato quando chi apprende viene messo nelle condizioni di trovare soluzioni a problemi basati sul mondo reale. Come base di partenza per l’acquisizione della nuova conoscenza viene attivata la conoscenza già esistente, mentre la nuova da acquisire viene dimostrata e poi applicata per essere infine integrata nel mondo preesistente dell’allievo.
    Grazia Calvo

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  28. Come insegna

    Come docente mi piace l’idea di sentirmi una guida, un tramite tra la materia che insegno e gli studenti, mi piace lavorare in mezzo a loro, attraverso attività dimostrative pratiche, insegnargli a sviluppare un’immaginazione mentale capace di farli spaziare, di porsi delle domande ed eventualmente cambiare il punto di vista. Credo che a volte le lezioni frontali siano penalizzanti nel rapporto umano tra docente e allievo perché spesso è più facile istaurare un rapporto autentico in un dialogo e non all’interno di una classe in cui agiscono variabili differenti. Ogni studente meriterebbe di essere ascoltato e di esprimersi secondo le proprie tempistiche e questo in ore da 50 /60 minuti diviene difficile, soprattutto in classi numerose. Ammetto che a volte, nel tentativo di entrare in comunicazione con i miei alunni e farli appassionare alla materia, ho tentato di applicare “una motivazione emotiva” a volte considerata dannosa in quanto produce carico cognitivo estraneo. Pur essendo consapevole del possibile problema preferisco correre il rischio perché, in contesti difficili, come gli istituti professionali veri e proprio presidi di crescita che pescano in ambienti disagiati, agire a livello emotivo e puntare ad una motivazione intrinseca forte è un espediente utile. Il tempo è un’altra componente importante nel contesto lezione, saperlo gestire, distribuendo la mia energia in maniera equa e in maniera tale che nessuno si senta discriminato, è un fattore a cui tengo. La valutazione poi è per me un fattore secondario, serve per far capire al ragazzo da dove parte e dove arriva secondo le proprie capacità individuali e non secondo il livello della classe, per attuare ciò tento di “provare a capire”.
    Il mio metodo d’insegnamento non vuole essere esclusivamente scolastico ma collima con la mia idea di umanità. I valori educativi che più amo si attuano con un’educazione di qualità e parallelamente di umanità.
    Ogni volta che entro in classe mi pongo l’obiettivo di affrontare le lezioni in questo modo, molte volte ci riesco a volte non mi è stato possibile proprio perché il materiale umano è variabile e non si può pianificare una lezione o addirittura un programma senza tener conto di questa variante. Amo molto il mio lavoro, come amo la materia che insegno, che ci permette di studiare l’arte ma anche di sviluppare la parte creativa dei ragazzi tramite il disegno a mano libera ecc… Presupposti a parte, sono una docente a cui piace trasmettere una passione coltivata da giovane e cresciuta con gli anni. Amo lavorare in mezzo ai ragazzi, seduta tra i banchi, scambiandoci gli strumenti di lavoro, confrontandoci e crescendo insieme, tramite dimostrazioni e visualizzazioni perché è vero che gli esseri umani apprendono principalmente osservando gli altri e poi la pratica continua anche successivamente fino a che le ”routine sono state automatizzate”.
    Federica Toppan

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  29. La prima volta che sono entrato in classe non avevo ricevuto indicazioni su come comportarmi, per cui mi sono affidato all'intuito, magari a un po' di propensione; in seguito all'interazione con i colleghi e all'auto-formazione. Quello che ho trovato più naturale, dopo essermi presentato, è stato ascoltare le persone che avevo di fronte: come si chiamavano, dove vivevano, se avevano una macchina fotografica in casa e se la utilizzavano. Da lì in poi sono iniziate le attività didattiche. Ha funzionato come primo approccio e ho continuato ad utilizzarlo anche in seguito.

    Cerco di adattare la mia attività di insegnante alle caratteristiche degli studenti che ho di fronte. All'inizio, svolgo un'osservazione delle preconoscenze con strumenti diversi: meno strutturati per gli studenti che iniziano a frequentare per la prima volta il corso di Tecnica fotografica(classi III), più strutturati per gli studenti che lo hanno già frequentato (classi IV e V).
    L'osservazione di altre variabili (motivazione; attitudini; caratteristiche individuali e relazionali) è un processo continuo, strutturato e strutturante rispetto alla relazione docente – discente. Si tratta di aspetti complessi, in cui interagiscono dimensioni diverse e che hanno bisogno di tempo e continuità per essere comprese. Cerco, quindi, di mantenere una relazione favorevole a questo tipo di comprensione: attraverso un approccio empatico (Husserl) e la creazione di un clima di fiducia reciproca nel conseguimento degli obiettivi (Rosenshine).

    Utilizzo brevi lezioni espositive, integrate dalla proiezione di fotografie e immagini, come anticipatori per i concetti o le tecniche che saranno approfondite in seguito, cercando di stabilire delle relazioni con le preconoscenze e le esperienze degli studenti (riferimenti a situazioni concrete; coinvolgimento nella ricerca di fotografie correlate agli argomenti affrontati).
    Per le attività laboratoriali, le metodologie che adotto variano da un approccio comportamentale (approccio tutoriale, modellamento e fading) ad uno a scoperta guidata (problem solving, lezione euristica). Di solito, utilizzo le prime nelle classi iniziali o nell'introduzione di nuove tecniche o strumenti e le seconde con classi avanzate o per approfondire tecniche o strumenti già utilizzati.
    Ad esempio, per introdurre e approfondire la modalità di scatto manuale della macchina fotografica: preparo all'inizio degli anticipatori (fotografie che mostrano gli effetti dell'uso di diversi tempi e diaframmi); utilizzo un approccio di modellamento (mostrando come si regolano tempi e diaframmi sulla macchina fotografica, utilizzando il pensiero ad alta voce per stimolare l'interiorizzazione del lessico specifico e delle procedure correlate), eventualmente integrato da metodi propri della lezione euristica (completamento delle procedure illustrate; formulazione di ipotesi sulla scelta di differenti soluzioni e relative conseguenze sulle immagini); nelle fasi avanzate, alterno applicazioni di problem solving (scegliere tempi e diaframmi da utilizzare in situazioni problematiche o per trasmettere un certo tipo di messaggio) ad esperienze “simulative” (realizzazione di un servizio fotografico per un evento nella scuola: rappresentazioni teatrali che coinvolgono altri studenti; progetti relativi ad altre discipline; inaugurazione dell'anno scolastico).
    Utilizzo studi di caso (lavori fotografici; comunicazioni di eventi; campagne pubblicitarie), integrando lezioni espositive ed euristiche, soprattutto per quanto riguarda l'analisi e la lettura di fotografie. Ho impiegato, in misura minore, metodologie collaborative: sia di tipo cooperativo, con strutturazione dei compiti maggiormente definita (in un progetto che prevedeva la realizzazione di pannelli espositivi contenenti una ricerca fotografica d'archivio sulla storia dell'Istituto); sia di tipo collaborativo (un'attività di progettazione e realizzazione di una fotografia per una campagna di sensibilizzazione di un'organizzazione non governativa).

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  30. Come insegna e che metodologie didattiche utilizza?

    - Individuare i risultati desiderati
    - Progettare compiti autentici di prestazione
    - Pianificare le attività
    La Progettazione a Ritroso è la metodologia didattica che utilizzo con i miei studenti da cinque anni circa.
    Questo metodo mi permette di far capire al ragazzo dove dovrà arrivare e quali sono gli step che dovrà affrontare.E’ importante partire agganciando lo studente con esperienze dirette e reali.
    Tale metodologia è applicabile nelle singole discipline ma anche trasversalmente come percorso interdisciplinare.
    Ad esempio, ogni anno nel mio istituto, proponiamo un’attività chiamata “Sfilata di fine anno”.
    L’attività viene pianificata trasversalmente alle discipline ed ogni docente interviene in una specifica fase dell’attività stessa. Si parte dalla visione del filmato che testimonia quanto realizzato l’anno precedente e che rappresenta la vetrina del lavoro di ogni singolo studente.
    Si stabilisce un tema sul quale, in una sequenza prestabilita, lavorerà ogni docente, talvolta in compresenza. Dalla storia alla letteratura, inglese, storia della moda e del costume con disegno si lavora alla fase progettuale/creativa.
    Poi si passa alla fase progettuale tecnico/realizzativa.
    In entrambe le fasi si mettono in gioco abilità e conoscenze acquisite durante l’anno/i scolastico.
    Questa attività, di anno in anno rivista e modificata con adeguati correttivi, permette un innalzamento esponenziale della motivazione all’impegno sia nel “sapere” che nel “saper fare”. Talvolta è sorprendente vedere come i ragazzi meno motivati riescano a trovare risorse dimostrando a se stessi di valere qualcosa.
    Ritengo opportuno segnalare che per attivare questo tipo di lavoro è necessaria la collaborazione di tutti (o quasi!) i colleghi.
    Quella del mio istituto è una realtà molto positiva dove la maggior parte dei docenti è disponibile ad adeguarsi a questa metodologia anche se l’ “ansia” da programma da ultimare è ancora presente e sostenuta da taluni.
    Ilaria Visioli

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  31. Per rispondere a questa domanda devo prima porne un’altra. Quando entro in una nuova classe di solito mi chiedo come sono abituati ad imparare. O meglio come non sono abituati. Perché ciò che ho notato in questi anni è che tra tante ricerche, metodi, mai o forse poco messi in pratica, ai ragazzi non viene insegnato a studiare. Molti docenti si limitano ad esporre lezioni ben definite su libri senza una metodologia di studio. I ragazzi tendenzialmente imparano a memoria e poi dimenticano tutto. Quando Calvani parla di memoria a breve termine e a lungo termine implica un metodo di lavoro ben preciso per filtrare le informazioni, ma spesso dagli alunni non viene recepito o non vengono dati loro i mezzi per farlo.
    La prima cosa che faccio durante le lezioni è conoscere la classe, individuo per individuo, e farmi conoscere da loro sia come persona che come docente, per poi passare sul piano scolastico e dare anticipazioni sulla materia, prima però chiedo motivazioni per cui hanno scelto quel determinato indirizzo specifico di studi, poi indago su quelle che Ausubel definisce di basilare importanza per l’apprendimento, le preconoscenze.
    Dalle prime chiacchierate con le classi, che in realtà fanno già parte del mio metodo di insegnamento, mi faccio un idea di come dovrà essere la programmazione, di come saranno i feedback e a seconda degli alunni, gli interventi di sostegno. Come detto in precedenza, ho trovato molto del mio modo di ‘fare scuola? nel libro di Calvani.
    Insegnando una materia teorico/pratica, sono spesso affiancata dall’insegnante tecnico-pratico, di notevole aiuto dato che non tutti gli alunni sono in grado di sostenere lezioni espositive da parte di un “docente oratore” anche se spesso per ovviare alla noia di questo tipo di lezione frontale la trasformo in quella che Ausebel definisce “anticipativa”, a mia insaputa devo ammettere, in modo da stimolare i ragazzi. La lezione in compresenza il laboratorio diviene invece di tipo “problem solving”.
    Ciò che mi preme di più nell’insegnare in realtà è rendere autonomi gli alunni come dice Calvani:
    «occorre dunque che l’insegnante rivolga il suo insegnamento non solo a far acquisire specifici contenuti, ma anche a mettere l’alunno in grado di imparare da sé riflettendo sulle tipologie che può adottare.»
    Come detto nella risposta precedente, insegno in due tipologie di scuole differenti entrambe indirizzo moda e abbigliamento, e differenti sono gli alunni, per la maggior parte ragazze, che mi trovo davanti. La mia modalità di approccio è la stessa, la programmazione di seguito varia. Dalla esperienza fatta ho notato che nelle scuole professionali c’è maggior bisogno di motivazione, ad es. a volte è un rischio mostrare loro, come dice Calvani, il compito che saranno in grado di svolgere a fine corso, perché si rischia di scoraggiarli, data la poca fiducia in loro stessi e la poca voglia che hanno di lavorare.
    Di norma adotto vari formati di istruzione a seconda del grado di classe che ho davanti, mi trovo di fronte ad un “pubblico” eterogeneo, dalle seconde alle quinte, quindi com’è logico, in base all’età si hanno attenzione e comprensioni differenti, è importante capire in primo luogo ciò che è più congeniale per loro, in seguito metterlo in pratica attraverso programmazioni più adatte.
    Cerco di insegnare un buon metodo di studio, se è efficace la memorizzazione è automatica. Ho trovato riscontro nel libro di Calvani tra quelli che definisce “formati dell’istruzione” nel l’apprendimento di gruppo, ad esempio nelle classi intermedie sostengo sia molto utile, e nel progetto di ricerca, adatto per dare loro autonomia di lavoro.
    Sicuramente sono d’accordo con lui ritenendo che l’insegnante deve essere presente in più livelli, sul piano comunicativo /gestionale e comunicativo /didattico.
    Un buon insegnante non deve solo fare la propria lezione e limitarsi a fare il narratore ma comunicare e interagire, controllare, osservare e capire i propri alunni. Non sempre riesce al 100% ma sempre si tenta.
    Consuelo Ballarini

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  32. Questa è una domanda che fa riflettere.
    Come ho risposto già nella precedente domanda cerco in un primo momento di conoscere i ragazzi e vedere da dove vengono, qual è il loro contesto sociale, quali sono i loro interessi extrascolastici.
    Poi avendo una certa età cerco di stabilire un minimo di equilibrio professore-alunno, per attenuare le distanze di mentalità.
    Attuo come si sul dire le regole del buon padre di famiglia.
    Successivamente stabilisco delle regole di comportamento fondamentali, facendo capire agli alunni che sono regole generali di vita e che queste regole servono per inserirsi in ogni contesto sociale.
    Dico loro sempre che i concetti della mia materia magari usciti dalla scuola non servirà più, ma le regole di comportamento, se le porteranno per la vita. Questa è la prima regola che deve insegnare un educatore a prescindere dalla propria materia.
    Certamente poi bisogna tornare al programma didattico e cercare di far apprendere all’alunno il più possibile ampliando le conoscenze, anche se oggi non è facile visto che gli alunni sono distratti e distolti da fattori esterni, e abituati ad altri metodi
    Bisogna, pertanto, incuriosirli, avendo inizialmente appreso qualcosa di loro nella fase della conoscenza, cerco di dare informazioni richiamando le loro preconoscenze e dare degli spunti che possono incuriosirli, aggiungo in seguito nozioni dell’argomento che provo anche a dimostrare con esempi pratici e spingo loro a fare il resto, ossia a trovare soluzioni o a lavorare sulle alternative, una specie di autoregolazione (Zimmerman) .
    Io cerco sempre di fare esempi che si rapportino al mondo del lavoro basandomi sulle mie esperienze professionali e cercando di mettere in pratica l’aspetto teorico della materia .
    Tradurre il più possibile la teoria con aspetti pratici del vissuto di tutti i giorni affinché l’insegnamento non rimanga astratto

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    1. Innanzitutto cerco di sondare la preparazione dei miei alunni e valutare qual è la risposta ai loro bisogni, alle loro aspettative, come deve essere il livello con cui misurarsi rispetto alle loro capacità di apprendimento. Così, se trovo da parte loro una risposta adeguata al mio modo di espormi, posso portare la trattazione ad un livello più elevato; se noto che gli alunni hanno difficoltà ad apprendere concetti più elaborati, cerco di semplificare il discorso e di riportarlo a tematiche di più facile comprensione. L'importante è che tutti gli alunni, che hanno capacità comunicative, espressive ed intellettive differenti, possano arrivare ad un buon livello di apprendimento. Una buona riuscita di una lezione sarà quindi data dall'assimilazione di concetti, anche più difficili, secondo le varie capacità degli alunni. Sarà importante, in tal senso, fornire un "rinforzo positivo" all'alunno che avrà sviluppato un percorso di apprendimento valido, gratificandolo per i miglioramenti acquisiti, secondo l'insegnamento di Skinner. Parallelamente, cerco di infondere autostima nell'alunno e un senso di sicurezza, avvalendomi anche delle teorie degli autori della "psicologia umanistica" come Rogers, Sullivan e Maslow.

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  34. 1° parte Come insegna ?
    Come scrive Calvani , nell’istruzione bisogna avere doti di intuizione e sensibilità, oltre che un comportamento essenzialmente strategico per la gestione di una classe. Insegno materie prettamente pratiche laboratoriali con indirizzo moda, dove amore, manualità e logica sono fondamentali per la riuscita di un buon percorso di studi. Materie appassionanti, ln quanto da una idea nasce un progetto, per giungere alla realizzazione di un prodotto finito, ma diventano complesse e demotivanti quando non si hanno le idee chiare sul percorso di studi intrapreso, pertanto mi trovo a dover applicare strategie , come quelle della motivazione e gratificazione per ottenere in alcuni casi qualche risultato soddisfacente. Ogni anno mi trovo a dover affrontare casi e situazioni nuovi. Il mio approccio è quello di farmi un quadro chiaro della classe attraverso una conoscenza verbale e pratica con utilizzo di test d’ingresso che mi permettono di capire in che modo intervenire e quali metodologie utilizzare, quindi applico un percorso che possiamo così definire di valutazione, decisione, intervento per poi raggiungere lo scopo . Non utilizzo una metodologia statica , ma cerco di adattarla ai bisogni dei singoli alunni pur mantenendo rigidi gli obiettivi da raggiungere. Insegno ad una classe prima di un’ipsia , caratterizzata come spesso accade da elementi con diversi disagi, pertanto mi trovo costretta a dover individualizzare le modalità di lavoro per non trascurare chi ha delle difficoltà e non annoiare chi è motivato e veramente portato per la disciplina. Una delle metodologie utilizzate è quella della motivazione interna ed esterna, lavorando su quella esterna cercando di arrivare a quella interna . In particolare nei soggetti deboli uso il rinforzo positivo escludendo il rinforzo negativo o di punizione. Il rinforzo secondo Bruner punta a sfruttare il piacere derivante dal conseguimento di una padronanza in un determinato ambito mentre Bandura costruisce tutto il pensiero del rinforzo su l’autoefficacia. Nella mia classe nella materia di confezione applico spesso il modelling , nel quale i discenti ripetono quanto io faccio vedere , fino al fading, dando più spazio alle attività sempre più autonome dell’allievo, fino a giungere da solo al compito integrale (full task). Emanuela Candido

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  35. 2° parte come insegna?
    Nell’anno in corso insegno anche in una scuola media , occupandomi di un ragazzo con problemi di apprendimento e iperattività (ADHD). Ho trovato funzionale la didattica metacognitiva, teorizzata da Vygotskij e Furija e applicata in ambito cognitivistico da Flavel, puntando sulla consapevolezza del soggetto circa i propri processi cognitivi che può impiegare per la soluzione di un problema. Tale consapevolezza permette di esercitare un controllo autoregolativo sulle proprie prestazioni cognitive, consentendogli di modificare procedure e strategie. Sviluppare la metacognizione, vale a dire indurre lo studente a essere consapevole delle proprie scelte compiute attraverso specifiche sollecitazioni (schede, consegne specifiche di lavoro, stimoli all’autovalutazione. Fondamentale il linguaggio interiore utilizzato da Vygotskij dove inizialmente il bambino va guidato con istruzioni precise (fai nel modo seguente), per passare all’autoistruzione verbalizzata ad alta voce (ripeti ad alta voce cosa devi fare), poi alle autoistruzioni interne (adesso pensa in silenzio alle azioni da svolgere); progressivamente le istruzioni vengono trasformate in autoistruzioni e il soggetto viene reso autonomo e capace di autocontrollo. Vygotskij inoltre nella zona di sviluppo prossimale sostiene come sia sempre presente uno spazio di intervento possibile per l’educazione affinchè un soggetto raggiunga prestazioni superiori e la zsp individua la distanza tra livello di sviluppo attuale e livello raggiungibile. Dal PEI è emersa l’esigenza di lavorare particolarmente sulla memoria ed in particolar modo quella a breve e lungo termine, nel caso specifico le informazioni rimangono impresse solo se legate ad uno stato emozionale positivo, sostenendolo tanto con rinforzo positivo. Se l’alunno è posto difronte a lavori con difficoltà maggiori delle sue capacità , subentra una stato di frustrazione rifiutandosi di svolgere il compito, pertanto per poter ottenere dei successi bisogna rendere il percorso estremamente semplice con continui rinforzi ed utilizzare la scomposizione(Chunking)
    Emanuela Candido

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  36. 2.Come insegna e che metodologie didattiche utilizza?
    Come ho precedentemente affermato non possiedo una lunga carriera come insegnante, quindi mi ritrovo ancora a sperimentare vari tipi di strategie didattiche o meglio di formati di istruzione. .
    Insegno " Tecnologie applicate ai materiali e ai processi produttivi" una parte del programma risulta nozionistico (vengono studiate le fibre tessili) mentre il resto può essere definito laboratoriale.
    Quindi spesso mi trovo nella prima parte a esporre i contenuti in maniera lineare e sequenziale (lezione espositiva), negli ultimi periodo vi affianco anche delle diapositive con immagini che possano coinvolgere maggiormente gli alunni nell'esposizione. Secondo Mayer l'abbinamento tra parole ed immagini (principi di multimedialità) e la loro presentazione simultanea e contestuale rende migliore l'apprendimento.
    In seguito applico invece delle strategie che rendono più attivi i ragazzi e quindi applico l'apprendimento come problem solving affiancando una guida con un interazione molto maggiore rispetto alla classica strategia.
    Negli ultimi anni sperimento anche l'apprendimento collaborativo e il metodo attraverso le ricerche con risultati non sempre soddisfacenti, ma apprezzo molto i suggerimenti che espone il libro di Calvani rispetto alle caratteristiche dei partecipanti ecc.
    In generale faccio molto uso del rinforzamento positivo sistematico, in quanto ne ho sperimentato l'efficacia,esso si basa sul principio fondamentale del paradigma dell'apprendimento operante teorizzato da Skinner, secondo cui un comportamento si rafforzerà, aumenterà cioè in frequenza e probabilità di emissione se sarà seguito da un rinforzatore (positivo e negativo) vissuto dal soggetto che emette il comportamento.
    Teresa Anania

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  37. Innanzi tutto vorrei precisare che in genere non utilizzo un metodo per sempre. Fossilizzarsi e considerare il proprio metodo infallibile, mal si associa ad una società in rapida evoluzione come in questo momento storico.
    Detto ciò dopo uno studio complessivo della classe cerco sempre di concretizzare concetti astratti.
    Una domanda ricorrente che gli studenti pongono è : “a cosa serve questo progetto?” Da qui l’esigenza di motivare; lo facciamo per un concorso, c’è una necessità pratica, una committenza esterna. Ultimamente alterno progetti dati con progetti a scelta. Cerco di capire quali sono le loro attitudini, passioni e mondi. Da ognuna di queste cose si puo’ concretizzare un progetto. Così non vincolo il progetto strettamente alla materia di sezione: “progettazione del design della ceramica”, ma si può saltuariamente spaziare in altri mondi: auto, moda ecc, se lo studente lo ritiene entusiasmante. Gli strumenti che utilizzo sono immagini disegnate a mano libera per creare un percorso organizzativo del lavoro. La tecnica di riferimento è quella degli anticipatori (advance organizers) di Ausubel, con il quale tracciamo una sorta di storyboard da seguire. Questo strumento mi è utile per focalizzare l’attenzione dello studente su aspetti rilevanti, riducendo il carico cognitivo. Tale prassi sottolineata da Gagnè riduce le informazioni eccedenti a volte seduttive, direzionando lo studente verso un percorso razionale e facendo ottenere lui dei risultati in tempi più brevi. Utili sono anche le immagini ricercate sul web, strumenti digitali in genere: software, fotocopie, fotografia, ecc.
    Utilizzo più codici comunicativi, ognuno con la sua funzione evitando sovrapposizioni.
    Tutto il mio sostegno è volto però a ricercare nello studente una propria autonomia, a formare in lui una strategia di autoapprendimento che lo conduca man mano verso un’ autonomia organizzativa
    Con la quale porti a conclusione un progetto dato, in tempi dati.

    Elisabetta Achille

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  38. Analizzare la mia metodologia didattica mi mette di fronte ad una metodologia di analisi completamente nuova fino a ieri possibile oggi. E’ stato interessante riscontrare come spesso, ed anche per quanto riguarda l’ambito artistico al quale faccio riferimento, gli allievi propendano ad un modo legato all’esperienza comune piuttosto che a quella propria, scientifica della disciplina. Per passare da strategie naturali a quelle insegnate occorre persuadere anche attraverso una condizione di fiducia personale e professionale non facile da conquistare ma per me necessaria e tra le più rilevanti. Criteri di valutazione chiari e dichiarati, step di elaborazione, coinvolgimento empatico e una comunicazione adeguata per la migliore trasposizione didattica nei vari livelli di apprendimento che, specialmente per le classi terminali, porti ad una maggiore autostima con capacità autocritica e propositiva coniugando preconoscenze, attitudini e aspirazioni.
    Roberto De Santis

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