venerdì 14 marzo 2014

Attività on line 1.1 - quale è la sua filosofia di insegnamento?

Come concordato, le attività on line consistono nel rispondere con un breve elaborato scritto (un commento) ad una serie di domande.

La prima (1.1) è la seguente: quale è la sua filosofia dell’insegnamento?

Nel nostro primo incontro abbiamo avuto di ragionare sul significato di tale espressione. Nel ricordare che la scadenza per l'inserimento del commento è fissata per sabato 26 aprile, mi raccomando di firmare i propri interventi (o di segnalare al mio indirizzo di posta l'eventuale nickname utilizzato).

Buon lavoro!

45 commenti:

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    1. Questa domanda ce la poniamo sempre tra colleghi quando ci sono difficoltà nei metodi di approccio con classi problematiche. Per quanto mi riguarda credo che la mia filosofia nei confronti della materia che insegno, la Storia dell'arte, sia quella di far conoscere e non di "insegnare". "Insegnare" oggi è una parola di un significato enorme e non credo sia sempre efficace pretendere di insegnare ma molto più utile dare la possibilità agli allievi di conoscere, di apprezzare, di entusiasmarsi. L'insegnante, con le sue conoscenze deve essere il veicolo fondamentale per far superare ai ragazzi gli ostacoli "problem solving"in un percorso di conoscenze gradualmente crescente tendente a favorire l'autoefficacia. A volte mi sento come un missionario che deve impartire filosofia, saperi, principi e valori. Quindi la mia filosofia d'insegnamento si basa sostanzialmente su un principio fondamentale; conivolgere con carisma ed empatia gli studenti per farsi ascoltare e conseguentemente aprire in loro la valvola della conoscenza. Io cerco di ispirare i miei ragazzi al fine di ottenere una comunicazione ed un apprendimento efficace. I miei fondamenti del metodo didattico sono la passione la compassione (nel senso etimologico del termine). Senza queste due qualità nessun ambiente di apprendimento potrebbe essere un luogo ideale per nutrire il desiderio di scoperta della conoscenza. Condivido pienamente la tesi di Mayer (2001) quando parla del concetto di immagine e di multimedialità; (si apprende meglio da parole abbinate alle immagini). Visto che nella mia materia, la Storia dell'arte, le immagini sono essenziali e che oggi noi dobbiamo combattere con l'homo videns, cerco sempre di trasmettere agli studenti la passione di poter sfruttare al meglio le teconologie per il sapere. Mi trovo pienamente daccordo anche con l'affermazione di Dewey; "imparare significa imparare a pensare" e con la tesi di Bruner riguardo la motivazione intrinseca; "fargli scoprire il piacere legato al pieno ed effettivo funzionamento dei poteri derivati dalle nuove conoscenze". Per avere successo bisogna incontrare gli studenti nel loro "mondo". Durante le mie lezioni li metto sempre di fronte ad innumerevoli immagini così da fargli tirar fuori la capacità di espressione, di valutazione, di critica di un'opera che spesso entra nel dimenticatoio. Concludo comunicando che bisognerebbe far capire ai ragazzi questo principio: imparare vuol dire sperimentare la possibilità di costruire il mondo intorno a noi, dare senso alle esperienze che si fanno e, soprattutto, attribuire valore a ciò che si conosce e alle relazioni che alimentano questo straordinario viaggio del sapere.
      Moris Valverde

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  3. La mia filosofia di insegnamento è la passione, la pazienza, il saper ascoltare, la voglia di lasciare un segno tangibile nelle menti di questi giovani, a volte disillusi.
    La scuola dovrebbe essere un luogo dove i ragazzi hanno il desiderio di scoprire, di conoscere ed approfondire. Il più delle volte la realtà è diversa.
    Il target di riferimento è differente dal pensiero comune della classe "perfetta", dove gli alunni seduti in modo composto ascoltano ed apprendono la lezione immediatamente. Ragazzi svogliati, disinteressati e disillusi, senza voglia di scoprire, apprendere, senza passione e trasporto.
    La mia filosofia di insegnamento mi spinge a mostrare agli studenti che ho a cuore i progressi che fanno. Li ascolto, cerco di avere un atteggiamento positivo che mi permette di capire i loro bisogni e di trasmettere loro la mia passione.
    Secondo Skinner, uno dei maggiori esponenti del comportamentismo, il fattore più importante per apprendere consiste nel rinforzo positivo, cioè nella reazione gratificante che l'insegnante deve fornire quando l'allievo mette in atto un comportamento valido. Concordo pienamente con Skinner ed attuo il "rinforzo positivo".
    Autori della cosiddetta psicologia umanistica come Rogers, Sullivan o Maslow richiamano il concetto dell'autostima e del senso di sicurezza in rapporto con l'apprendimento. Una bassa autostima può essere fattore di disturbo.
    La mia materia è per buona parte pratica, si realizzano abiti, disegni, modelli. Cerco di trasmettere la "voglia di fare", di creare, di avere un'idea e portarla a termine seguendo un progetto. Sono una docente che crede in "loro", nel loro talento evidente o nascosto. Voglio lasciare un segno positivo. Vygotskij ha lasciato un forte segno nella riflessione contemporanea, sottolineando il ruolo del linguaggio interiore, nello sviluppo del pensiero (il parlare dentro di sé). Particolare fortuna ha avuto la sua idea di "zona di sviluppo prossimale (ZSP)": ciascun di noi, rispetto a quanto sa fare al momento, ha un potenziale nascosto che potrebbe consentire di arrivare molto più in alto se aiutato e facilitato da docenti, esperti...
    Io sono qui a vostra disposizione, pronta ad ascoltarvi, ad aiutarvi a credere in voi.
    Paola Petrini Rossi

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  4. 1.1 - quale è la sua filosofia di insegnamento?
    Bene, iniziamo a scrivere questo che potrebbe definirsi un diario di “viaggio”, o un diario dei propri sogni.
    Ho iniziato a insegnare a ventisei anni e mi sono sentita davvero fuori luogo il primo giorno di servizio ero di fronte ad una classe di venti alunne che mi guardavano e ascoltavano, incuriosite dalla mia materia: “Disegno e Storia del costume” .
    Non sapevo da dove iniziare, ma pian piano le parole escono da sole, devono per forza!
    All’inizio, impacciata, mi chiedevo come avrei fatto a trasmettere il mio sapere con le parole, mi chiedevo quali mezzi avrei potuto utilizzare per insegnare e devo dire che più passavano i mesi, e più le ragazze apprendevano ed erano contente dei loro “ inaspettati ” risultati ed io con loro.
    Pennac, nel suo splendido libro, ci ricorda sempre che ci vuole Amore, grinta e passione per arrivare al cuore della gente e dei ragazzi, che in classe, tra somari e non, sono comunque lì seduti che aspettano un qualcosa da noi professori e da noi adulti poi. Quando sono davanti a loro, provo a stuzzicarli, a incuriosirli sempre, anche se devo dire che ogni anno è sempre peggiore; vedo tante ragazze che potrebbero fare molto e invece si lasciano andare dall’ozio e dall’essere dei “ciuchini” demotivati. Questa problematica la incontro sia all’Ipsia Moda che alle medie nella materia di Arte e Immagine, (in cui sono abilitata).
    La mia filosofia d'insegnamento è la passione, la pazienza, il saper ascoltare, la voglia di lasciare un segno tangibile nelle menti di questi giovani, a volte disillusi. Penso spesso che l’insegnamento sia come una missione, poiché ci si svolge una relazione con le menti future in un’età molto debole in cui bisogna sempre sapere come agire con loro, perché anche un errore commesso da parte dell’insegnante, può far morire la voglia di o l’interesse di studiare. Nessuno di noi possiede una bacchetta magica, poiché non esistono rapporti deterministici tra le conoscenze teoriche legate alle teorie dell’apprendimento e un efficace insegnamento. Una cosa è certa, che non vi è apprendimento in un clima dominato dall’imposizione, dalla paura dell’errore e della punizione. Da oltre un secolo, gli,studi sull’apprendimento hanno visto svilupparsi teorie e modelli volti, importanti apporti dati da vari orientamenti come il comportamentismo, il cognitivismo, la psicologia umanistica, il costruttivismo, ecc.
    Credo molto nel rinforzo positivo di Skinner, massimo esponente del comportamentismo, è quello che cerco di fare ogni volta che entro in classe, soprattutto con gli allievi ripetenti, che spesso si sentono scoraggiati e demotivati. Infatti, gratificare l’allievo sulla buona riuscita di un compito o lavoro in classe è un rinforzo positivo che fa stare bene anche noi docenti quando leggiamo negli occhi dei nostri ragazzi una grande soddisfazione.

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  5. 1.1 Quale è la tua filosofia d'insegnamento?
    Sono solo 8 anni che insegno e mi sembra ancora presto per poter definire le caratteristiche di una mia filosofia. Sicuramente, però, posso dire che con qualunque classe ho avuto di fronte, ho dovuto e voluto tenere un approccio motivazionale del tipo "Io credo in te e in quello che potresti fare. Fallo pure tu". Insegnando in un Istituto Professionale, e sempre alle prime classi, gli studenti che vedo sono certamente eterogenei, ma tutti con un comune denominatore che è il "disagio", a volte economico, familiare, sociale, relativo alle proprie difficoltà fisiche, psicologiche, cognitive certificate o...non. Sono ragazzi demotivati che pensano di essere stati "parcheggiati a scuola" in attesa del compimento dei 16 anni, o che sono stati mandati (raramente è una scelta individuale e motivata circa l'offerta formativa) perché è una scuola "facile", "dove non si studia", "si fa solo pratica", ecc.. L'aspettativa di questi ragazzi nei confronti della scuola è proprio la "non aspettativa", pensare che da loro noi insegnanti non ci aspettiamo nulla, sia dal punto di vista dell'impegno che dei risultati didattici, poiché magari per tutti gli anni scolastici precedenti, il fatto di non avere buoni voti ha significato per loro "non essere in grado di.." e non che erano semplicemente svogliati, immaturi o tutto ciò che li ha resi poco motivati perdendo ogni contatto o fiducia con l'apprendimento scolastico. Questi "elementi di natura emozionale, come senso di insicurezza e bassa autostima, derivati da precedenti frustrazioni, possono diventare un fattore di disturbo", come dice Calvani quando si riferisce, ad esempio, alla dimensione dell'autostima e il senso di sicurezza di cui parlano anche autori della pedagogia umanistica come Rogers, Sullivan e Moslow. Mi rendo conto che questa mia "filosofia" diventa indispensabile se non fondamentale per porre le basi di un buon rapporto basato sulla stima, e citando sempre Calvani, "rispetto e attenzione tra i partner dell'attività educativa (...) apprezzare adeguatamente gli sforzi e avanzamenti da essi compiuti, senza stigmatizzare gli insuccessi", soprattutto se alcuni dei ragazzi rientrano nel sistema di apprendimento bruneriano che si appella alla motivazione intrinseca del piacere in se dell'apprendere una nuova conoscenza. In breve la mia filosofia, se così si può dire, si avvale degli strumenti motivazionali, lavorando sull'eliminazione del pregiudizio e la coscienza e conoscenza di sé e delle proprie attitudini e capacità. Biagetti Caterina.

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  7. Etimologicamente il termine filosofia significa "amore per il sapere".L'insegnamento racchiude il principio dell'amore per il sapere, in modo inequivocabile. Perciò non si possono scindere filosofia e insegnamento, fermo restando che ogni individuo acquisisce attraverso un percorso personale il proprio sapere e questo non conduce sempre all'insegnamento.

    La filosofia dell'insegnamento è una scelta che permette alla persona di entrare in un processo lungo, delicato e complesso che dura , penso, per tutta la vita lavorativa di chi lo persegue.

    L'insegnante ama il suo sapere disciplinare, lo cura, lo integra, lo elargisce ai propri studenti perchè è certo dell'importanza di ciò che lui "fa" ogni giorno per tutti loro.

    Il sapere racchiude l'amore; entrambi sono in relazione costante e permettono di accrescere la motivazione, lo stimolo, lo scambio continuo.

    L'insegnamento è un atto d'amore, una missione non priva di insidie, ma proprio per questo sempre avvincente.




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  8. Insegnare per me significa soprattutto cercare di dare ai ragazzi una motivazione ad apprendere, allo studio e all'approfondimento delle materie che insegno: Disegno e Storia dell'arte e Fotografia. Questo ritengo sia fondamentale per due motivi: il primo è l'arricchimento culturale che ne può derivare, quindi la facoltà di poter “leggere”, o per lo meno non escludere al proprio sguardo il grande patrimonio artistico che possediamo, tutta l'arte che ci circonda, che è opera dell'uomo. Evitare l'indifferenza, riattivando i nostri sensi anche di fronte ad un'opera d'arte “statica” come può essere un quadro, o una scultura, in un momento in cui tutto si muove freneticamente, riuscendo ad intravedere le azioni e le motivazioni che l'hanno creata, è un obiettivo importante da raggiungere. Appropriarsi di una realtà che è stata tramandata da altri occhi, saperla leggere.
    Il secondo motivo è che oggi viviamo nella società delle immagini; tutto è virtuale, o virtualizzato e penso che allenare il nostro occhio a capire e vedere cosa ci potrebbe essere dietro ad un'immagine, il suo messaggio, che spesso è implicito e manipolativo, ritengo sia molto importante, anche per costruirsi una propria coscienza critica.
    Si scattano milioni di fotografie, con cellulari, tablet, super attrezzature e ne vediamo passare altrettante in rete, ma non siamo più abituati a soffermarci su di esse per darne un giudizio critico.
    Fare una lezione di Storia dell'arte significa soffermarsi su un'opera singola alla volta, entrare in relazione con lei, capirne ed interpretarne il messaggio: è un'operazione che richiede tempo, è un'azione sequenziale, come leggere un libro (come afferma Raffaele Simone), che ti immerge in un contesto ben preciso. Va fatta anche per l'opera d'arte una lettura che abitua a ragionare in maniera più complessa, chiamando in causa inevitabilmente altre discipline ad essa legate e riattivando conoscenze diverse per ambiti, ma pertinenti con l'opera.
    Altro scopo dell'insegnamento per me è trasferire la mia professionalità ai ragazzi anche per quanto riguarda il disegno o la fotografia, che rientra sempre nel voler motivare.
    Tutto questo non è sempre facile, soprattutto per il fatto che questa materia viene considerata di secondaria importanza e le stesse ore di insegnamento vengono sempre più ridotte.
    Motivare e cercare risposte positive da parte degli studenti: questi sono i miei obiettivi principali, far capire loro che l'arte di ogni tempo ha moltissime cose da comunicare, più di quanto si possa pensare e che il gesto d'arte è un potentissimo mezzo espressivo.
    Ritengo che un'insegnate debba essere per i ragazzi un punto di riferimento che traccia loro dei percorsi ben precisi da seguire, delle regole che possano poi diventare strumenti e competenze concreti per raggiungere una propria libertà di pensiero e di azione. Dietro ad un quadro astratto per esempio, c'è spesso una lunga preparazione di tipo accademico, di base, che prevede la conoscenza accurata del disegno; come il saper scrivere necessita della conoscenza del linguaggio della scrittura. Condivido molto il pensiero di Jerome Bruner riguardo alla motivazione intrinseca: “... fargli scoprire il piacere legato al pieno ed effettivo funzionamento dei poteri derivati dalla nuova conoscenza”.

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  9. Qual è la sua filosofia dell'insegnamento?
    Mi chiamo Mariapia Biancucci, ho 38 anni e sono docente da circa 8 anni. In passato ho insegnato la disciplina "Tecnologie Tessili" negli Istituti Superiori Professionali e da due anni sono docente di sostegno nella Scuola Primaria, avendo conseguito nel frattempo la Laurea in Scienze della Formazione Primaria, con la specializzazione sul sostegno presso l'Università degli Studi dell'Aquila.
    Secondo la mia "filosofia dell'insegnamento", il docente svolge al contempo il ruolo di guida, di moderatore e di facilitatore del processo di insegnamento/apprendimento ma è lo studente il vero protagonista del proprio processo di apprendimento. Ho sempre pensato che un bravo docente si riconosca non solo dalla preparazione culturale o dalla quantità di conoscenze di cui è depositario ma soprattutto dalle sue capacità comunicative, osservative e di ascolto, dall'entusiasmo e dalla passione che impiega nello svolgere il suo compito, dalla disponibilità all'accoglienza e dalle sue abilità di instaurare rapporti di empatia con gli studenti per comprendere l'esperienza che vive l'alunno, ponendosi nei suoi panni e cogliendo il suo vissuto.
    Per essere efficiente, l'insegnante è anche un "progettista" della formazione poiché individua e orienta la crescita del soggetto in funzione di molteplici variabili e attraverso una progettazione curricolare flessibile e sistematica, anche in prospettiva delle scelte future dell'alunno. In ciò egli deve necessariamente prendere atto dei bisogni formativi specifici degli allievi e dei loro pre-requisiti; deve cercare di motivarli allo studio, indicando gli obiettivi cognitivi ed affettivi che intende far conseguire con l'insegnamento della propria disciplina; deve incoraggiare gli allievi a lavorare in modo autonomo, attraverso una didattica laboratoriale e metacognitiva.
    Come afferma Dewey, "imparare significa imparare a pensare", per cui lo studente deve essere consapevole delle proprie conoscenze e del proprio metodo di studio. Già Kant sosteneva, ereditando una lunga tradizione di pensiero che risale a Socrate, che "lo studente deve apprendere non pensieri ma a pensare, bisogna non portarlo ma guidarlo se si vuole che in futuro egli sia in grado di camminare da se stesso".
    A ben vedere, la scuola dell'autonomia di oggi presuppone una didattica per competenze, tutta incentrata sullo sviluppo della "persona", tesa a favorire l'autonomia di pensiero negli allievi e lo sviluppo delle capacità potenziali dell'individuo che apprende, mediante l'acquisizione di conoscenze e abilità operative (sapere e saper fare), che ogni soggetto in formazione riutilizza, per realizzare il proprio progetto educativo e di vita in uscita dal percorso scolastico.
    Alla luce di tutto ciò ritengo dunque che l'insegnamento sia al contempo amore per la conoscenza e per la sua trasmissione ma anche e soprattutto una importante responsabilità e un impegno che, come sostiene Morin, è espressione di "amore per ciò che si dice e per ciò che si pensa veramente" nel tentativo di formare i cittadini del terzo millennio.
    Mariapia Biancucci

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  10. Mi chiamo Biagio Biancucci e nel corrente anno scolastico insegno Tecnologie tessili e Laboratorio di moda e confezione negli Istituti Professionali ad indirizzo moda di Fermo ed Ascoli Piceno.
    Sono docente dal 2005 e in questi anni ho insegnato anche negli Istituti Industriali altre discipline come Disegno Tecnico, Tecnologia delle Costruzioni, Matematica applicata e Fisica.
    Ogni volta che inizio un anno scolastico in una nuova classe, cerco di conoscere nel più breve tempo possibile gli alunni delle classi che mi vengono assegnate (il loro percorso scolastico, le aspettative e i progetti per il futuro, la preparazione di base e il metodo di studio) per poi adottare strategie educative e didattiche adatte alla situazione di tutti e di ogni singolo alunno.
    Nello stesso tempo cerco di creare un contesto di empatia, presentandomi, facendomi conoscere convinto che un buon rapporto educativo, fruttuoso ed efficace sia basato anche su un clima emozionale adeguato.
    Pertanto, mi sono reso conto che occorre creare fin dall'inizio una relazione di fiducia, rispetto e attenzione fra discente e docente: l'alunno dovrebbe avvertire la disponibilità dell'insegnante a mettersi dal suo punto di vista, ad apprezzare i suoi successi senza stigmatizzare gli insuccessi.
    L'obiettivo è quello di creare un ambiente sereno, di collaborazione per cercare di "tirar fuori" le potenzialità di ognuno.
    Da oltre un secolo gli studi sull'apprendimento hanno visto svilupparsi teorie e modelli didattici volti a spiegarne la natura (comportamentismo, cognitivismo, costruttivismo, connessionismo, ecc.) e ogni teoria ha messo in evidenza uno o più fattori a suo avviso più rilevanti di altri ma ritengo che al di là delle teorie che bisogna pur sempre conoscere l'insegnamento sia una vera e propria arte, frutto di intuizione, sensibilità e predisposizione naturale dell'insegnante.
    D'altronde, negli ultimi trent'anni, la nascita e lo sviluppo dell'Instructional Design, l'ambito che si occupa della progettazione e della sperimentazione di modelli didattici efficaci ha riconosciuto che un modello teorico di istruzione non può mai essere applicato in maniera asettica ma occorre sempre considerare il contesto di apprendimento.
    L'insegnamento ha infatti una natura essenzialmente progettuale ed attuativa, caratterizzata da una sequenza di decisioni e di azioni finalizzate a fronteggiare e risolvere dei problemi reali e teorici per ottenere il successo scolastico di tutti gli alunni e la loro crescita umana e professionale.
    Biagio Biancucci

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  11. Qual’ è la mia filosofia d’insegnamento…; come insegno…; se sono soddisfatto del mio modo di insegnare… forse domande molto semplici, ma che in realtà non mi ero mai posta, quindi non è stato facile fare delle considerazioni.
    Sembra banale dire che tutta la mia filosofia d'insegnamento si basa sulla passione, nell' impegno, sulla pazienza e sulla gioia che ho nel farlo. Partendo con questo spirito, indipendentemente dalla materia che insegno (fin’ora nei licei artistici diversi laboratori o geometria descrittiva dove sono abilitata), cerco di coinvolgere la classe in un clima positivo nei miei confronti e soprattutto nei confronti della “materia”. Sicuramente non sto dicendo niente di nuovo, perché come ci ricorda Calvani, nessuna teoria educativa sostiene, ad esempio, che l’apprendimento possa svilupparsi in un clima dominato dall’imposizione, dalla paura dell’errore e dalla punizione. Secondo me l'approccio col gruppo classe in ogni caso va sviscerato in tanti piccoli accorgimenti quanti sono gli alunni, perché viviamo in realtà sempre più differenziate e con sempre più problemi, da quello economico, a quello famigliare, a quello personale,… dichiarati e non. Prima il maestro doveva insegnarti a “leggere, scrivere e far di conto”, ora credo che il nostro compito vada ben oltre. Non entro in classe con la presunzione di trovare alunni attenti e perfetti che ascoltino e recepiscano ciò che dico, mi metto sempre in discussione, e la prima cosa che faccio è mettermi dal loro punto di vista, fisicamente, non rimango quasi mai nella cattedra, sto dalla loro parte per capire i loro interessi e le loro predisposizioni per poi condurli attraverso i loro punti di forza verso la materia o l’argomento da trattare. Non è semplice, pur avvicinandomi a loro devo mantenere l’autorevolezza. Non sono la loro amica, non sono un loro genitore, ma forse adotto le stesse strategie rimanendo la loro insegnante, passatemi l’espressione, uso “il bastone e la carota”, più severa quando devo ricondurli alla serietà, pronta poi a congratularmi ed apprezzare gli avanzamenti compiuti. Credo sia reale la citazione di Confucio “coinvolgimi e io imparo”, ma se non guardiamo coi loro occhi e non conosciamo i loro generi come facciamo a coinvolgerli?, se non conosciamo i loro linguaggi sempre più tecnologici come facciamo a coinvolgerli? Con quali strumenti pretendiamo che imparino? E’ dunque dovere dell’educatore, trovare strategie per attirare e mantenere viva l’attenzione degli studenti visto che a mio parere più che un mestiere, fare l’insegnante è una “vocazione”, o si fa con passione credendoci e interessandoci veramente a loro, o è meglio cambiare mestiere, perché significa che non si è portati … Secondo me l’efficacia di un insegnante non dipende da quanta cultura possiede, ma da quanto riesce a tramandarla, trasmetterla ai discenti.

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  12. “Il maestro mediocre riferisce. Il buon maestro spiega. Il maestro eccellente dimostra. Il grande maestro ispira.”
    William Arthur Ward

    Questa citazione definisce la mia filosofia dell’insegnamento in qualsiasi materia ma, in particolar modo, nell’ambito di una scuola creativa-artigianale come gli Istituti di Istruzione Secondaria Professionali di Stato ad indirizzo Moda, in cui insegno da alcuni anni “Tecnologie applicate ai materiali e ai processi produttivi per il tessile, abbigliamento e moda”.
    Innanzitutto credo che i fondamenti di ogni metodo didattico siano la passione e la compassione (nel senso etimologico del termine). Senza queste due qualità, nessun ambiente di apprendimento potrebbe essere un luogo ideale per nutrire il desiderio di scoperta della conoscenza.
    L’insegnante dovrebbe mostrare nei riguardi della propria professione un grande senso di compassione verso gli studenti e mostrare loro che hanno a cuore i progressi che fanno non solo a scuola ma anche durante le attività extracurriculari (un esempio è l’Alternanza scuola-lavoro).
    Allo stesso tempo l'insegnante deve mostrare la propria passione per la materia che insegna, piena conoscenza degli argomenti trattati e soprattutto aggiornarsi in materia costante e arricchire le proprie conoscenze.
    Tra i doveri fondamentali di un buon insegnante, inoltre, c’è quello di avere la capacità di condividere le nuove conoscenze acquisite con gli studenti in modo tale che la lezione sia strutturata in maniera sempre fresca e aggiornata. Dal momento del primo incontro tra studenti e professori, inizia immediatamente uno scambio intellettuale e l’insegnamento diventa reciproco.
    Una disciplina deve sempre essere utilizzata in un contesto reale e in tutte le possibili espressioni e implicazioni e la bellezza dell’insegnamento è l’abilità di saper trasmettere anche la cultura e l’attualità correlate alla materia, soprattutto in un ambiente come quello della moda che muta e si rinnova costantemente.
    Grazie al mio decennale percorso professionale come designer (che nonostante l’insegnamento non ho mai del tutto abbandonato) e la mia esperienza, la mia visione riguardo al docente è quella del professionista-artigiano che insegna, dove in primo piano c’è la persona e non quell’antica tradizione tutta italiana del mettersi in cattedra. Credo inoltre che nell’era della globalizzazione e della conoscenza sia necessario che l’educatore abbia una formazione unitaria e continua. Come per l’uso appropriato della tecnologia: i nostri studenti sono bombardati dalla tecnologia e passano tanto del loro tempo in un mondo digitale. I professori dovrebbero utilizzare tutti gli strumenti disponibili per creare un ambiente interessante e stimolante in cui lavorare. Spero di ispirare i miei studenti a continuare il loro studio della materia sfidandoli a trasferire il loro sapere dai libri alla vita reale-professionale.

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  14. 1.1 – Quale è la sua filosofia di insegnamento?
    Ho 28anni è mezzo ed insegno laboratorio tecnologico ed esercitazioni (modellistica e confezione) da soli 5 anni in un Istituto Professionale di Vercelli.
    La mia filosofia di insegnamento, può essere racchiusa in un proverbio cinese, in cui si dice “ Dai un pesce ad un uomo e lo nutrirai per un giorno, insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”. Il pesce e la pesca possono essere interpretate come metafora della conoscenza. L’insegnamento non è una trasmissione di conoscenze dal docente al discente, in cui il discente assume il ruolo passivo di un contenitore da riempire ! Insegnare vuol dire sviluppare l’apprendere ad apprendere (Rosseau). Ovviamente ciò avviene imparando qualcosa, anche contenuti, ma l’insegnante deve essere consapevole che dall’altro lato c’è il discente, una parte attiva che migliora secondo il suo gusto, il suo genio, i suoi bisogni. Per il tipo di materia che insegno i mie allievi mettono in risalto il loro estro e creatività, credo che le loro idee non vanno cambiate bisogna spingerli a esprimere i propri schemi, ma anche a riesaminarli cosapevolmente , bisogna invogliarli e non tappargli le ali. In questo modo gli allievi imparano facendo (learing by doing, Dewey)sono partecipi, attivi nel loro momento formativo e con una maggiore competenza che hanno contribuito personalmente a costruire. Nel primo anno di studi, dopo aver imparato a cucire a macchina, ad ogni allievo faccio cucire un” sacchetto porta tutto”. Appena gli dico che questo oggetto gli sarà regalato se fatto bene, tutti si mettono all’opera e in poche lezioni il sacchetto è cucito perfettamente. La soddisfazione in loro è tanta, si accentua la voglia di fare e l’autostima cresce sempre di più (attraverso appropriate esperienze di apprendimento…può acquistare un grande significato personale, Bandura 2000). Cerco di no far vedere il laboratorio come “luogo” ma come ambiente in cui ciò che si fa ha un senso, dove le strategie si mettono in atto con scambi di modi di fare e di relazionarsi finalizzando una propria autonomia. Per gli allievi entrare in laboratorio deve essere come entrare in una “bottega” dove si può dare via libera alla creatività, l’apprendimento deve essere come una condizione di apprendistato(gli autori Collins e Newman rivalutano questo mezzo di apprendimento)
    La mia filosofia di insegnamento è quella di stimolare la curiosità dell’allievo attraverso la comunicazione costruttiva, e non attraverso la costrizione. La mia filosofia di insegnamento si basa anche sull’attenta e accurata osservazione delle persone che ho di fronte( si perché gli allievi sono prima delle persone) dal loro bagaglio culturale e della comprensione della rete scolastica in cui sono inseriti. Ogni allievo ha una propria storia che merita attenzione e spesso gli insegnanti, se si instaura un rapporto di fiducia, diventano anche confidenti e “psicologi” a cui si chiede aiuto. Concludo affermando che gli allievi si costruiscono da soli attraverso il dialogo, la collaborazione, il delineamento di un percorso adatto che gli permetta di raggiungere gli obiettivi e che il docente è la guida, colui che accompagna ciascun allievo nel suo percorso, colui che crede nell’alunno ed è lì per aiutarlo a strutturare la propria conoscenza e a tirar fuori la propria professionalità.

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  15. 1.1. Quale e’ la sua filosofia di insegnamento?
    Mi propongo di diventare l’insegnante che vorrei per i miei figli, cercando con perseveranza e passione di far emergere le potenzialita’ di ogni studente. Cerco quindi di insegnare nel significato latino del termine di “imprimere un segno” emotivo e cognitivo utile’ che rimanga fissato nella memoria a lungo termine dello studente. Principio di base, in linea con quanto espresso da Gagne’ e’ guadagnare l’attenzione , in quanto’ non c’e’ apprendimento se l’attenzione e’ divisa o dispersa. Per perseguire questo obiettivo punto a motivare il ragazzo sostenendo la teoria di Rheinberg secondo cui:” la motivazione orienta la vita di un soggetto verso il raggiungimento di una finalita’ giudicata positiva”. Nella pratica pongo l’accento sull’autovalutazione (A. Bandura) e sul senso di soddisfazione (R.W. White) che deriva dal fare bene un compito e quindi esprimo costanti rinforzi positivi come sostenuto da Skinner. Parallelamente mi impegno ad insegnare il rispetto per le regole e le persone, in particolare per i diversamente religiosi, diversamente pensanti, diversamente abili, in modo da far accettare la diversita’ e dal ricercare stimoli e arricchimenti che derivano da essa. Dopo aver creato un adeguato clima passo alle azioni didattiche. Obiettivo principale e’ fissare i contenuti nella memoria a lungo termine del ragazzo. Ogni anno mi ritrovo con classi che sulla carta hanno trattato grandi argomenti, poi quando vado a testare le preconoscenze purtroppo valuto sempre piu’ spesso che e’ rimasto ben poco nella loro memoria a lungo termine. Pertanto da questa ripetuta analisi, ho valutato di non inseguire passivamente il programma ma di interpretarlo adattandolo alle reali condizione della classe, puntando a fissare dei validi contenuti nella memoria a lungo termine dell’alunno, che poi costituiranno le preconoscenze necessarie e indispensabili per l’apprendimento di nuove conoscenze. Per risultare efficace nell’insegnamento dei nuovi apprendimenti, mi avvalgo di continui e costanti ripassi delle conoscenze gia’ acquisite ed espongo i nuovi concetti in maniera essenziale, chiara e coincisa, non solo per mantere un carico cognitivo utile ma anche perche’ ho rilevato che in questo modo incuriosisco e stimolo il ragazzo a porre domande. Infine mi interfaccio con lo studente con ripetuti e personali feedback, atti a fornire valide indicazioni per il raggiungimento dell’obiettivo richiesto da una esercitazione. Applicare i principi sopra esposti risulta spesso difficile, in particolare perche’ le classi sono troppo numerose per una didattica efficace, le ore di lezione sono state fortemente ridotte e i programmi didattici non sono stati snelliti. Una possibile soluzione per far emergere le potenzialita’ degli studenti e imprimere un segno nella memoria a lungo termine, e’ adattare, con una certa discrezionalita’, alle differenti esigenze delle classi e dei singoli alunni, i programmi didattici, esponendo a fine anno scolastico le cause dell’eventuale mancato completamento.

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  16. Nel corso della mia ultradecennale esperienza di insegnamento negli istituti tecnici e professionali, come docente di materie di indirizzo del Corso Moda – Tecnologie materiali e Laboratori tecnologici – , mi sono spesso confrontata con alunni molto eterogenei, ognuno con caratteristiche peculiari legate alla storia e al vissuto personale, e all’ambiente socio-economico e culturale di provenienza.
    Secondo la mia esperienza, al di là delle differenze individuali, l’aspetto che accomuna ciascun adolescente è sempre stato la ricerca di “senso” e di identità. Per cui, all’interno della classe, ho cercato di lavorare sulla motivazione e sull’interesse degli alunni, adeguando costantemente la mia azione didattica verso una “cultura di attenzione alla persona”.
    Credo che ogni percorso formativo, in un sistema scolastico di qualità, debba essere modellato sulle esigenze di ciascun discente mediante la sua effettiva “presa in carico” e la conseguente predisposizione di adeguate risposte educative e didattiche.
    Di qui l’importanza della dimensione dell’autostima e del senso di sicurezza, elementi di natura emozionale, espressioni della psicologia umanistica (Rogers, Sullivan, Maslow) che influenzano fortemente l’apprendimento.
    Le componenti affettive ed emotive del rapporto insegnante-alunno assumono nell’attuale realtà un valore determinante. Lo “stare bene a scuola” esce dall’aula, esce dalla scuola e si trasferisce nell’ambiente circostante.
    Quello che posso consigliare ai giovani insegnanti è di non limitarsi esclusivamente alla regolarità formale, seppur necessaria, ma di creare con gli alunni un clima di vera empatia che valorizzi la gioia di vivere assieme, il confrontarsi con sempre nuove esperienze.
    Il benessere degli alunni si traduce in una condivisione e arricchimento reciproci soprattutto in una fase, come quella attuale, più complessa che in passato per l’emergere di modelli di vita spesso contrastanti e superficiali. L’obiettivo è molto importante: la formazione di una persona matura e critica, di un individuo attivo, partecipe, consapevole del proprio tempo e delle proprie responsabilità … «La scuola può essere una comunità in miniatura, una società in embrione, l’apprendimento comprende eventi intellettuali, emotivi e sociali» (John Dewey).
    Per quanto riguarda la mia filosofia di insegnamento, ho sempre cercato di adottare un atteggiamento di fiducia e di ottimismo all’interno della classe, valorizzando e apprezzando quello che gli alunni fanno di positivo (il rinforzo positivo di Skinner), incoraggiandoli per aumentarne l’autostima e la fiducia in se stessi, la motivazione, la partecipazione e l’impegno necessari per un continuo miglioramento, nella consapevolezza realistica anche dei propri limiti e difficoltà.
    A tale scopo ho cercato di fare tutto il possibile per mettere ciascun alunno nelle condizioni di riuscire in attività significative ed adeguate alle proprie capacità ed interessi, in modo tale da fargli acquisire fiducia ed autostima, punto di partenza per progredire e migliorare costantemente.
    Secondo Dewey, l’apprendimento scaturisce da un problema in un contesto reale e si attua attraverso un’azione riflessiva. L’importante, dunque, è saper coinvolgere e interessare gli alunni con esperienze formative e di apprendimento adeguate a “potenziare i talenti nascosti”, mettendoli il più possibile in condizione di riuscire.
    Infatti gli alunni sono soggetti attivi che si autovalutano e prendono coscienza concretamente delle loro capacità e attitudini. Ciò corrisponde al concetto dell’autoefficacia di Bandura che costituisce il vero motore motivazionale dell’apprendimento. Altrimenti il rischio è il verificarsi di forme di disagio e di disadattamento anche gravi che rappresentano, purtroppo, una realtà molto diffusa nel sistema educativo attuale.

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  17. 1 Considero l’ insegnamento come una facoltà molto importante dell’ educazione con l’obiettivo di riuscire a far apprendere significativamente ogni singolo allievo di un gruppo-classe, con le sue caratteristiche, complessità e personalità. In tale contesto entra in gioco la relazione e le numerose variabili da tenere in considerazione. Un fattore importante per l’azione didattica dipende sia dalla motivazione, dal clima che si genera nella classe e del carico cognitivo che l’insegnante deve sostenere per mantenerlo in condizioni accettabili e produttive .Da un lato c' è l’elemento umano e dall'altro c' è il riuscire a trasmettere la propria esperienza professionale in maniera significativa.
    L’insegnante affinché possa svolgere un’ azione didattica positiva e costruttiva deve necessariamente saper analizzare bene il contesto classe in cui andrà ad operare, un’ attenta osservazione ed un po’ di intuizione possono sicuramente facilitare il lavoro e programmare così la giusta metodologia da mettere in atto per entrare positivamente in relazione con il gruppo-classe.
    Elisa Giuliani

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  18. Qual'è la sua filosofia di insegnamento?

    “ Noi, nel nostro sistema educativo abbiamo gravato la memoria d’un peso di fatti sconnessi, e con fatica tentato di impartire il nostro sapere laboriosamente acquisito. Insegniamo alla gente a ricordare, non le insegniamo mai a crescere “ ( O. Wilde , Il Critico come Artista, 1889).
    Il mio concetto educativo a differenza di quello citato poc’anzi in realtà è molto flessibile, tutto viene modificato in base al contesto scolastico e solo attraverso una concreta autovalutazione può essere definito valido o meno. Da oltre un secolo sono state sviluppate teorie e modelli volti a spiegare la natura dell’apprendimento, per quanto mi riguarda, quello più affine alla mia materia d’insegnamento, è il modello di matrice Deweyana, che sottolinea il rapporto tra teoria, pratica e metodologia, in cui avviene l’interazione tra l’esperienza dell’allievo e l’ambiente sociale, tutto questo ha anche una forte impronta costruttivista in cui ritrovo alcune componenti fondamentali per un’azione didatticamente efficace, come : il modelling, dimostrare come si deve agire; il coaching, far provare ed incoraggiare; lo scaffolding, fornire lo strumento di supporto e il fading, ridurre progressivamente la guida. Un buon insegnante dà gli strumenti necessari all’allievo per tirar fuori le proprie potenzialità, motivandolo e trasmettendogli il desiderio di imparare attraverso la naturale curiosità delle giovani menti, come dice sempre mio padre , tutti siamo capaci di fare qualcosa se ci viene insegnato nel modo giusto, frase che solo oggi scopro come teoria volta a sottolinea l’idea di una zona di sviluppo prossimale ( ZSP) : ciascuno di noi, rispetto a quanto sa fare al momento,ha un potenziale nascosto che potrebbe consentire di arrivare molto più in alto se opportunamente aiutato e facilitato. Quanto più l’allievo sa avvantaggiarsi del rapporto con qualcuno più esperto, tanto più ampia è la sua zona di sviluppo prossimale ( Vygotskij). Non so se la mia può definirsi una filosofia, però so di certo che : l’insegnante è colui che con parole, spiegazioni ed esempi fa si che l’alunno acquisisca un’esperienza, un’abitudine o capacità di compiere un’azione, operazione o lavoro; egli comunica il sapere “ imprimendo un segno”, questo segno deve essere percepito dall’allievo “come un dono prezioso e non come un dovere faticoso” ( A. Eistein).

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  20. Insegnare: “segnare-in”. Il significato intrinseco della parola stessa mi ha sempre ispirato alla continua ricerca di una più adeguata metodologia volta a tracciare solchi, il più profondi possibile, quasi indelebili nel tempo, nella giovane mente dei miei allievi.
    Insegnando una materia professionale, modellistica di abbigliamento e confezione, mi sono sempre posta l’obiettivo di aiutare i giovani a sviluppare nel tempo solide capacità tecnico-pratiche, capacità logiche ed intuitive; perciò la mia massima soddisfazione come insegnante sarebbe quella di vedere i miei alunni diventare autonomi nel lavoro specifico che insegno, e di conseguenza anche nella vita.
    Ma mi rendo conto che la sfida è sempre più ardua e quindi devo continuamente affilare e raffinare i miei metodi, i miei approcci, senza considerare mai di aver raggiunto il livello ottimale quale insegnante, senza mai pensare che ormai l’esperienza acquisita sia sufficiente, il che equivarrebbe ad abbassare la guardia e quindi a smettere di progredire, e peggio ancora significherebbe ristagnare e diventare obsoleti.
    In fondo, come ogni arte, anche l’arte di insegnare va costantemente coltivata ed innaffiata, o anche allenata, come farebbe un atleta in vista di una gara.
    Mi sento sempre in gara, perciò non devo mai perdere di vista la meta: come già accennato, sono alla continua ricerca di metodi atti ad insegnare ad imparare: ovvero passare dal cosa apprendere al come apprendere; e attraverso l’acquisizione dell’ autoregolazione imparare ad individuare gli errori e ad autocorreggersi (Zimmerman).
    E tutto questo devo farlo adattandolo volta per volta ad ogni singolo alunno. Ognuno di loro parte inevitabilmente da un punto diverso, ognuno ha una sua personalità, un suo costrurro, con punti deboli e punti di forza: questi io devo scoprire, per rinsaldare ciò che già è solido, e dare forza laddove sono presenti lacune. Come direbbe Piaget occorre adattare gli schemi interni alla realtà esterna, ristrutturandoli.
    Inoltre, uno tra gli aspetti che ritengo fondamentali è l’instaurare un ambiente di fiducia e rispetto reciproci in un clima sereno, in cui l’errore è visto come strumento di crescita e non come qualcosa da nascondere per timore di una punizione, o come motivo di frustrazione.
    Reputo fondamentale anche l’ esempio, il mostrare, cioè, come si fa (Bandura).

    Laura Franco

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  21. Quale è la sua filosofia di insegnamento?
    Sono un’insegnante di “Disegno professionale-Storia della moda e del costume” e attualmente insegno in una scuola professionale –IPSIA- del nord Italia, dove lavoro ormai da 6 anni. Avevo solo 27 anni quando iniziai ad insegnare, il primo giorno di scuola mi sono sentita come un pesce fuor d’acqua. Mi chiedevo sarò in grado di insegnare? sarò in grado di affrontare una preparazione didattica? avrò la capacità di comunicazione con loro?… soprattutto quali mezzi utilizzare. Per essere buoni insegnanti prima di tutto bisogna desiderare di esserlo. Sono necessarie competenze, conoscenze e saperi professionali, ma soprattutto, occorre essere disposti a mettersi in gioco con il sentimento. Il desiderio di insegnare di traduce in passione. Quel desiderio che dà significato all’azione dell’insegnante, dal momento che spinge chi insegna ogni giorno a progettarsi continuamente non solo come docente, ma soprattutto come persona. E’ un percorso continua sperimentazione, fatto di entrate ed uscite, di successi e fallimenti, di gioie e di sofferenza in continua. Un insegnante deve entrare nel mondo degli adolescenti, analizzando e comprendendo le loro problematiche e le loro caratteristiche, attraverso un ascolto attivo, instaurando in classe un clima di fiducia. Oggi, l’insegnate, è colui che sa coniugare attività di progettazione, animazione, gratificazione (Skinner) degli alunni e di gestione del gruppo classe. Io, come insegnante, nell'attività di insegnamento guardo le specificità di ogni alunno a cui si rivolge, che è il vero protagonista del sistema insegnamento – apprendimento. Chi insegna, non deve avere un metodo fisso d’insegnamento, ma deve possedere un metodo utile da adattare alle esigenze formative dei singoli studenti e alle particolari capacità, ed inoltre, deve essere in grado da coinvolgere tutti gli alunni e da stimolarne la partecipazione al processo di apprendimento. Il consiglio che dò ai nuovi insegnati di credere in quello che si fa, ed affrontare la propria materia d’insegnamento con amore ed trasmettere con la passione l’importanza del disegno.

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  23. 1.1 Qual’è la sua filosofia di insegnamento?
    Sono una giovane professoressa trentenne che, all’età di 24 anni, ha iniziato la sua carriera di insegnante in un Istituto d’Arte in provincia di Napoli insegnando disegno geometrico. Successivamente sono stata docente in vari Istituti professionali a Vercelli e in provincia dove ho insegnato disegno e storia del costume. Attualmente lavoro sul sostegno per minorati psico-fisici.
    Da questa breve introduzione si può capire quanti alunni ho conosciuto e valutato rendendomi conto delle diversità e problematiche di ognuno di loro, mi riferisco non solo al profitto ma soprattutto al contesto familiare in cui vivono perché, a mio avviso, un bravo insegnante deve essere anche un bravo psicologo, solo in questo modo si riesce a far emergere allievi meno dotati.
    Dunque, la mia filosofia di insegnamento posso racchiuderla in due fasi: il primo elemento è quello di capire gli alunni che ho di fronte sapendoli ascoltare perché la scuola diventa la loro seconda casa; il secondo elemento, invece, è quello di mostrargli la passione per la materia facendo nascere dentro di loro tanta curiosità e voglia di scoprire, ma senza essere troppo rigida perché ciò potrebbe bloccarli e non riescono a far emergere la loro creatività, qualità indispensabile per un insegnante di disegno.
    Disegnare per loro deve essere una valvola di sfogo in cui trasmettono tutte le loro sensazioni.
    Condivido pienamente la teoria del “rinforzo positivo” di Skinner, uno dei maggiori esponenti del comportamentismo, cioè apprezzare i miglioramenti degli allievi perché ciò li stimola a fare sempre meglio facendo crescere in loro una certa autostima e un senso di sicurezza di cui parlano alcuni autori della psicologia umanistica quali Rogers, Sullivan e Maslow.
    Posso dire, dunque, che la mia filosofia di insegnante si basa non solo sul livello didattico ma anche su quello umano perché un insegnante per essere completo deve possedere amore, umiltà, pazienza e sensibilità.
    Elisabetta Scotti

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  25. Insegnare spesso viene considerata una sorta di missione, un forte impegno per formare le nuove generazioni. Una delle caratteristiche fondamentali della mia filosofia d'insegnamento è la passione per la mia disciplina e per l'insegnamento in generale. Grazie ad essa si riesce ad avvicinare i ragazzi alla disciplina in questione e si riesce a tramandarla al meglio. L'approccio è importante e varia a seconda della classe che si ha davanti. A questo riguardo è importante creare un ambiente stimolante e interessante. Gli obiettivi principali sono legati al ruolo d'insegnamente come guida nel processo legato all'apprendimento ma anche alla funzione che spesso l'insegnamente ha come punto di riferimento. Doti fondamentali sono il saper comunicare, saper stimolare e coinvolgere i ragazzi, capirli e conoscerli per poter agire nel modo migliore per aiutarli ad affrontare le problematiche che si troveranno ad affrontare. Dare fiducia ai ragazzi e saperli ascoltare è importante per lasciare qualcosa in loro ed ottenere dei risultati. In tal senso è utile parlare del “rinforzo positivo” di Skinner che ci spinge ad apprezzare i miglioramenti degli allievi, sopratutto per coloro demotivati e che grazie all'attenzione che avremo per i loro progressi sicuramente mostreranno maggior entusiasmo e soddisfazione. I ragazzi devono essere educati alle loro responsabilità, all'essere consapevoli delle loro capacità e alla collaborazione. A questo riguardo importante è l'apprendimento collaborativo in cui gli allievi devono raggiungere un obiettivo interagendo reciprocamente tra loro (lavori di gruppo). Nell'insegnare bisogna ricordare, come disse lo psicologo Bruner Jerome, che la disciplina non deve essere intesa come un deposito di nozioni ma come complessi di conoscenze. Imparare significa, come disse Dewey, imparare a pensare...ed è proprio questo che dovrebbero fare i ragazzi. Pertanto è fondamentale stimolare il ragazzo in tal senso e ad essere ansioso di imparare e conoscere. Il giusto esempio e il credere in quello che si fa, negli allievi e nelle loro capacità sono ingredienti di grande interesse nella mia filosofia d'insegnamento.
    Raffaella Sciullo

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  26. Definisco la mia esperienza nel campo dell’insegnamento breve ma piuttosto eterogenea dato che, avendo operato soprattutto nell’ambito di istituti privati e solo negli ultimi anni in quelli pubblici, mi è capitato di dover esporre materie molto diverse tra loro, dalla tecnologia delle costruzioni all’estimo, dal disegno alla storia dell’arte. Anche le classi che ho affrontato sono state molto diverse tra loro: sia per il numero (da 1 a 26 studenti) sia per il loro modo di essere (da ragazzi quasi completamente disinteressati ad altri diligenti e motivati fino a quelli spiccatamente competitivi). Di fatto, in ogni situazione e di fronte a qualunque tipo di classe o studente, credo (e spero) di essere stata sempre coerente con il mio modo di essere e con il tentativo di raggiungere un obiettivo fondamentale: quello di accompagnare i ragazzi nel loro percorso di crescita e di maturazione verso una piena consapevolezza di se stessi all’interno di una realtà che non è solo quella dentro la scuola ma soprattutto fuori di essa. Credo che proprio la scuola, soprattutto di questi tempi, sia un importante punto di riferimento per ragazzi che, nella difficile età dell’adolescenza, in cui rivendicano fortemente il proprio io e ricercano un assoluto desiderio di libertà, paradossalmente hanno bisogno di seppur poche ma chiare regole cui appigliarsi nella difficile scalata verso la ricerca di se stessi. Per questo motivo, non credo alla figura del professore distaccato e intransigente ma nemmeno a quella dell’insegnante troppo accondiscendente e per forza amico di tutti; credo, invece, in un misurato equilibrio tra fermezza, equità, comprensione e disponibilità. Ovviamente cerco sempre di operare una certa “taratura” in relazione alla classe che ho davanti e questo non solo in merito al modo di approcciarmi con essa ma anche in funzione degli obiettivi didattici che devo farle raggiungere.
    In conclusione, dal punto di vista delle conoscenze, vorrei che alla fine del lavoro svolto con una classe, ognuno degli alunni abbia non solo appreso le nozioni della materia che ho insegnato ma ne abbia interiorizzato i concetti e che diventi capace di acquisirne di nuovi in modo autonomo e che quindi sia in grado di “imparare da solo” avendo la capacità di raccogliere altre informazioni sapendole capire, intuire e valutare attraverso uno sviluppo del senso critico. Come afferma DEWEY, “imparare significa imparare a pensare” e per questo motivo occorre spingere i ragazzi a non assimilare sterilmente le nozioni di una materia ma sapere andare oltre di esse.
    Dal punto di vista umano, invece, vorrei trasmettere e far sviluppare in loro uno spiccato senso di responsabilità perché credo che solo attraverso questo si possa sperare di immettere all’interno della società degli individui capaci di svolgere bene il proprio lavoro e capaci di interagire correttamente con gli altri.
    Valentina Bruni

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  27. 1.1 Quale è la sua filosofia di insegnamento?
    Insegno da circa nove anni una disciplina di laboratorio: decorazione ceramica.
    Insegnare per me significa trasmettere tutto il mio sapere, interessare gli studenti alla materia, che ritengo molto creative, invogliarli a sviluppare ricerche; cerco di trasmettere la voglia di fare di creare, tutto questo con grande passione.
    La soddisfazione più grande la ricevo quando gli studenti si interessano alla materia e realizzano ciò che hanno progettato.
    Se consideriamo che in Europa è in atto una evoluzione della società basata sulla conoscenza risulta fondamentale l’accesso ad informazioni aggiornate; questi elementi sono fattori cruciali per la competitività e facilitano l’inserimento professionale ed adattano la manodopera. Tenendo in considerazione questo concetto legato alla competitività ed il ruolo che i laboratori hanno nell’attrarre l’attenzione delle nuove generazioni, non mi spiego la direzione intrapresa dalle recenti riforme scolastiche.
    Consorti Milva.

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  28. Qual è la sua filosofia dell’insegnamento?

    Sono Agnese Ascolani, ho 37 anni e ho avuto il mio incarico come supplente in tecnologia dell’abbigliamento, classe di concorso A068 nell’anno 2006-2007.
    Devo dire la verità, tra tutti i lavori, mai avrei pensato che un giorno potessi insegnare.
    La mia storia, infatti, è un po’ strana. Sono laureata in giurisprudenza e dopo la laurea come la maggior parte dei laureati in giurisprudenza ho iniziato la pratica forense e collaborato in vari studi legali, l’idea dell’insegnamento molto lontana in quanto i posti per insegnanti di diritto veramente pochi. Nel 2003 mio fratello si stava diplomando all’I.T.I.S di S. Egidio alla V.ta (TE) con specializzazione in confezione tessile ed io da brava sorella maggiore lo stavo aiutando nel preparare la tesina per l’esame di stato, in quel momento ho capito che magari avrei potuto prendere questo diploma facendo delle integrazioni e sostenendo l’esame di maturità. Così è stato, ma solo nel 2005 perché subito non l’ ho potuto sostenere per questioni di tempi d’iscrizione e ho tralasciato un anno per altre questioni. Penso che il mio divenire insegnate sia stato dato da una serie di casualità, infatti, subito dopo il diploma mi sono iscritta nelle liste di 3 fascia e dal 2006 ho iniziato ad insegnare. Quando mi hanno chiamato la prima volta avevo ancora 28 anni, nella mia classe di 5 c’era una ragazza di 22 anni ripetente e comunque non avevano meno di 19 anni, quindi sembravo quasi una loro coetanea.
    La prima esperienza è stata bella ma ho avuto nel primo periodo la sensazione di essere inadeguata, poi ho preso coraggio e alla fine mi è sembrato che il mestiere fosse quello fatto a posta per te.
    Oggi, le scuole dove insegno sono istituti professionali (tecnologia dei materiali), istit. Tecn. Industriali e istituti moda.
    Negli istituti tecnici gli alunni sono meno e quindi si riesce a lavorare meglio, in quelli professionali gli alunni sono molti di più quindi il lavoro è un po’ diverso e leggermente più complesso.
    In tutte le classi cerco di creare un ambiente sereno, dove l’alunno può e deve fidarsi del professore, solitamente, nella prima lezione sprono gli alunni a parlare di loro, dando prima delle informazioni sulla mia persona, in modo da creare un piccolo punto d’incontro, cercando di realizzare un giusto equilibrio. Le classi sono, solitamente, eterogenee composte da studenti di varie etnie e spesso anche con vari disagi (sociale, familiare, psicologiche, fisiche, ecc), pertanto è necessario creare un rapporto professore-alunno buono, fiducioso e sereno sin dall’inizio, ciò rende maggiormente proficua l’attività didattica, ma, soprattutto aiuta l’insegnante a capire le problematiche personali degli alunni, quindi poter intervenire dove è possibile.
    Sicuramente ci sono molte filosofie dell’insegnamento, anche nel libro di Calvani vengono riprese varie metodologie, alcune le rivedo nella mia, infatti la mia filosofia è quella di dare ai ragazzi le maggiori informazioni possibili sempre e continuamente, chiare, usando termini semplici ed esempi, così ho la convinzione che alla fine dell’anno magari non si ricorderanno tutto di quello che abbiamo detto e/o fatto in classe, ma ad ogni alunno, anche il più svogliato, rimarrà un attimo, un pensiero, un immagine della mia lezione per sempre. Se l’alunno più svogliato mi fa capire che ha compreso un argomento non in modo mnemonico ma pratico, vuol dire che gli ho dato qualcosa ed io sono soddisfatta del mio lavoro.
    Agnese Ascolani

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  29. 1.1: Quale è la sua filosofia dell’insegnamento?
    Prendendo esempio da Bruner e Gardner che convengono nella pluralità delle strategie dell’apprendimento che si possono utilizzare per soggetti diversi ma anche nello stesso individuo in momenti diversi, in rapporto a diversi contenuti si possono attivare distinte modalità di apprendimento, usando strumenti tradizionali come la spiegazione il testo scritto gli esercizi scritti.
    Spiegazione e testo scritto per l’andamento sequenziale e argomentativo ogni passo sviluppa il precedente e prepara il successivo.
    L’ipertesto permette di utilizzare più registri comunicativi e più strategie di apprendimento, fa interagire testo, immagini e suoni e permette di passare da un punto all’altro saltando passaggi intermedi, come avviene nell’intuizione e da la possibilità di costruire percorsi diversi, diverse modalità per affrontare lo stesso argomento. Questa è la mia filosofia d’insegnamento.
    Firmato: Pina Saltarelli.

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  30. Dico sempre di essere soddisfatta e di aver fatto un buon lavoro, se riesco a portare un ragazzo/a da 0 a 1. A volte le difficoltà sono cosi elevate, che prefiggersi anche un piccolo step rappresenta una grande conquista. Credo nell’insegnamento per immagini, che calza perfettamente con la materia che insegno: “progettazione del design”. Le immagini sono altamente comunicative e aiutano a concretizzare un’immagine astratta nella mente, non sono vincolate ai diversi linguaggi. Per cui spesso prendo la matita, disegno e dico: “te lo spiego cosi..disegnando”.
    Utilizziamo allora diversi codici, parola scritta, immagine statica o dinamica,audio.
    “Gran parte della comunicazione didattica a scuola si svolge attraverso la parola orale e il testo scritto” ma sia un’esposizione orale sia una scritta possono risultare incomprensibili da parte degli allievi se termini o concetti non sono prelinarmente posseduti, se la struttura linguistica risulta troppo complessa. A questo aiuta evidenziare elementi rilevanti, usare titolature o mappa concettuale. Rendere il testo coeso con una sorta i bridging tra le varie unità testuali.
    Esplicitare l’implicito in sintesi: non vale il principio molto italiano: “più dai, meglio è”, ma il principio molto anglosassone che “se si può esprimere in poche parole è sempre meglio farlo”.
    Inoltre utilizzare tecniche come: “trasformare un testo astratto in una storia” od utilizzare delle immagini.
    Secondo Mayer infatti si apprende meglio se le immagini sono abbinate alle parole, se sono presentate simultaneamente a queste. Inoltre non devono essere ridondanti e sempre attinenti all’argomento da esporre.

    Firmato: Elisabetta Achille

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  31. 1.1 Quale è la sua filosofia di insegnamento?
    Il lavoro dell’insegnante può essere considerato una missione, perché noi tutti abbiamo il compito di formare le nuove generazioni delineando così il futuro dell’umanità. Questa missione è resa ancor più difficile dalle esigue risorse economiche riversate in questo campo. Di conseguenza l’apprendimento “formale” rischia di diventare sempre più noioso perché anche a causa della estraneità della scuola rispetto alla realtà, gli studenti prediligono sempre di più l’apprendimento “non formale”. Io cerco di accrescere il loro interesse nei confronti dell’apprendimento “formale” sviluppando quelle tematiche che possono suscitare in loro maggior interesse (per esempio analizzando una moda del momento). Insegnando “arte e immagine” il mio ruolo è facilitato perché l’arte è già di per sé comunicativa e riesce più facilmente rispetto ad altre discipline ad essere attuale in quanto in Italia, all’alunno può facilmente accadere di incontrare, semplicemente passeggiando per la propria città, un’opera d’arte appena studiata.
    Posso concludere dicendo, che nella mia filosofia dell’insegnamento cerco di utilizzare molteplici strategie di apprendimento, dando molta importanza però, al rapporto che vado ad instaurare con gli studenti, il quale deve essere umano e deve contenere da entrambe le parti, molta umiltà e sensibilità.
    Laielli Donatello.

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  32. Quale è la sua filosofia di insegnamento.

    Insegno da 8 anni di cui 5 sul sostegno, ciò mi ha permesso di differenziare notevolmente il mio metodo di insegnamento.
    La mia filosofia di insegnamento oggi più che mai è quella di capire e valorizzare l’unicità di ogni individuo che sta davanti a me. Ogni allievo porta con sé una ricchezza di talento che ha bisogno semplicemente di essere scoperto e valorizzato, attraverso stimoli e strategie didattiche adeguate “personalizzate ”.
    Un elemento importante è il coinvolgimento dei ragazzi per la realizzazione di una proficua e redditizia crescita.
    Il clima della classe contribuisce in modo significativo alla crescita dei ragazzi. L’insegnante deve assicurarsi che ci siano le condizioni per un apprendimento chiaro e semplice (utilizzo di schemi e linguaggio diretto), dare più tempo agli alunni con difficoltà evidenziando e valorizzando le loro potenzialità; si deve favorire il lavoro di gruppo e l’integrazione, e allo stesso tempo dare fiducia al singolo favorendo la possibilità di dimostrare ciò che conosce e ciò che è in grado di fare. Questa metodologia stimola l’interesse degli studenti aumentando notevolmente il loro rendimento.
    Sicuramente abbiamo una grande responsabilità quella di formare uomini e donne del futuro capaci di integrarsi ed affrontare le sfide della nuova società.

    Grazia Calvo

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  33. “Nella mia prospettiva pedagogica e nella mia didattica le domande sono più importanti delle risposte,il sapere ed il comprendere nascono dalla costante esplorazione di tali questioni”.Le risposte non sempre sono esatte in assoluto,ma l’atto educativo sta nel processo d’insegnamento e di apprendimento.“La base di partenza per ogni processo educativo è la maturazione del soggetto”,che avviene secondo fasi ben definite e consente al soggetto stesso di acquisire gli apprendimenti che permettano il suo sviluppo.La scuola ha il compito di portare il giovane a sviluppare una visione coerente e organizzata della realtà e capacità astrattive e logiche non conseguibili spontaneamente,l’apprendimento dovrebbe sempre partire dal fare e dal rapporto con la realtà concreta e manipolabile” in cui il docente sia una guida attiva capace di focalizzarsi su tecniche che guidano i processi cognitivi degli studenti durante l’apprendimento. Inoltre è importante “concentrarsi sul senso di autoefficacia dell’alunno,attivando costantemente i prerequisiti ” in modo tale da permettergli di collegarsi tra un argomento trattato e l’altro e poter spaziare quindi in autonomia tra potenziali “variazioni di contesti applicativi”.Un bravo insegnante deve rendere l’alunno in grado di costruire attraverso le proprie conoscenze pregresse ed esperienze le competenze necessarie,non solamente per conseguire gli obiettivi conseguiti in ciascun insegnamento,ma per formare un individuo autonomo e consapevole.La conoscenza si forma nella mente dell’allievo ed i concetti si accumulano sulla soglia della percezione e finché non vengono acquisiti dalla consapevolezza del discente tramite il filtro della personalità e dell’esperienza dello stesso si rischia di rasentare il nozionismo.E’ indispensabile un giusto rapporto di vicinanza per creare una consapevolezza dell’aspettativa positiva che il docente ripone nell’alunno;il docente non deve essere un erogatore di nozioni o misuratore di prestazioni ma deve saper calibrare gli stimoli e sollecitare la riuscita didattica.Nell’insegnamento la pratica dimostrativa è fondamentale per passare dal “sapere al saper fare” in quanto le competenze non sono soltanto abilità mentali ma,soprattutto nelle materie tecnico-pratiche,acquisizioni di manualità,capacità esecutive e…intuitive.Penso che l’insegnamento non possa essere reale se non si traduce in un processo di crescita, non solo a livello didattico ma soprattutto umano.I principi sopraenunciati si attuano nel contesto scolastico che ha la lezione come momento di scambio. Nel testo “Principi dell’istruzione e strategie per insegnare” mi hanno colpito alcune affermazioni:la prima riguarda il termine “lezione” derivante da “Lectio” che prevedeva la discussione tra le opinioni del maestro e quelle contrarie;.“la lezione nel tempo si è svuotata della sua componente dialettica,è sopravvissuta come semplice esposizione di informazioni ed è divenuta simbolo di quella modalità trasmissiva e passivizzante di fare scuola;gli aspetti tradizionalmente indicati come negativi consistono nel carattere retorico,nell’eccessivà prolissità verbale;nella noncuranza per i tempi di attenzione e per il coinvolgimento degli allievi”.
    Se il concetto di lezione,vista come prima unità fondamentale della scuola (in quanto è da essa che parte il rapporto alunno-docente) si è così radicalmente trasformata negli anni è inevitabile desumere che,anche il concetto di scuola si è inesorabilmente modificato. Nel testo di Antonio Calvani si parla di tipologia di lezione:lezione frontale di gruppo,si parla di problem solving e di lezione intuitiva;tutto questo mi sembra estremamente attuale ma strutturato e forse lontano da quell’ideale di lezioni che,come in passato,puntavano ad una elevazione dello spirito;del resto il rapporto docente-alunno è in primis un rapporto umano,queste tipologie fissano dei paletti standardizzati al interno dei quali il bravo docente può muoversi con l’ausilio della propria sensibilità ed esperienza.
    Federica Toppan

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  34. Insegnare ad imparare: questa è la mia filosofia. Attraverso la figura dell’insegnante lo studente arriverà ad essere consapevole delle sue capacità e sarà anche messo in condizione di apprendere autonomamente. Anche l’insegnante continuerà ad imparare dagli allievi: imparerà ad osservare, percepire e capire cosi da migliorare il suo metodo. Inoltre l’attenzione non deve essere solo rivolta al contenuto di ciò che insegniamo, ma soprattutto a come utilizziamo il processo di trasmissione della conoscenza. Credo che la figura dell’insegnante abbia un ruolo importante nella formazione di un adolescente non solo sotto il punto di vista culturale ma anche umano. L’insegnante efficace (BARAK ROSENSHINE) deve sapersi muovere nelle relazioni che intercorrono con gli studenti; guida e supervisiona la formazione del discente e interviene quando questi va a consolidare schemi erronei insegnando allo stesso la capacità di auto criticarsi.
    Daniele Di Fiore

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  35. Ho lavorato per cinque anni in Istituti professionali, come docente di Tecnica fotografica. In un arco di tempo leggermente più ampio (circa otto anni), ho alternato l'esperienza di docente di scuola secondaria di secondo grado, con attività formative in contesti differenti (docente in corsi di formazione organizzati da enti pubblici e associazioni) e - nel contesto dell'istruzione pubblica - con ruoli differenti da quello di docente interno al consiglio di classe.

    L'estensione nel tempo di queste esperienze mi porta a considerare una mia filosofia dell'insegnamento come un'attività di costruzione in corso, in cui ogni esperienza entra in relazione con le altre, come stimolo o feedback per ulteriori attività, più che un insieme organico e consolidato di strategie e prassi didattiche. Credo che l'attenzione al contesto sia fondamentale nei processi di insegnamento e apprendimento. Il contesto di una relazione di insegnamento-apprendimento è costituito, in primo luogo, dagli studenti. Dalle loro personalità (intese come corporeità, emozioni e psiche) e dal loro essere nodi di reti di relazione, sociali e culturali, che in parte si sviluppano all'interno della classe e dell'istituzione scolastica e in parte al di fuori, nella famiglia e nella società. Gli studenti sono, cioè, soggetti attivi, costruttori di senso.
    Rintengo che l'insegnamento sia - più che un processo lineare di trasmissione di contenuti - un processo circolare di interazione tra soggettività, in cui si stabiliscono relazioni tra schemi preesistenti (Piaget), preconoscenze (Ausubel), oggetti culturali (Crane), nuove formulazioni di saperi. Attraverso queste interazioni, si possono creare le condizioni favorevoli per le “zone di sviluppo prossimale” indicate da Vygotzkij, riducendo così le distanze tra lo sviluppo iniziale degli studenti rispetto la materia affrontata e le potenzialità che li contraddistinguono.

    La formazione nell'ambito della Tecnica fotografica è stata storicamente caratterizzata dall'apprendistato come forma prevalente. Penso, quindi, che l'applicazione di tecniche di modellamento, di coaching e di scaffholding sia un modo efficace per introdurre e consolidare l'uso della macchina fotografica o degli strumenti digitali per la post-produzione delle immagini. Allo stesso tempo, il senso che do all'attività di insegnamento non si esaurisce nel facilitare lo sviluppo di conoscenze, competenze e abilità tecniche, ma tende a stabilire delle connessioni tra queste e i livelli linguistici e di contenuto. L'insegnamento della tecnica dovrebbe tendere alla sua connessione ad obiettivi, espressivi e di comunicazione. In questo processo, il riferimento a problemi e situazioni concrete è sicuramente fondamentale, così come espresso da Merril (sia per la formulazione di problemi di significato reale, sia nell'evidenziare le modalità di trasferimento delle conoscenze e delle abilità nella vita reale), che da Dewey (incentivando la dimensione riflessiva dell'apprendimento). Il riferimento a situazioni reali richiede, inoltre, un'attività continua di riduzione del carico cognitivo per gli studenti e di adattamento ai diversi livelli di expertise, attraverso la scomposizione di tecniche complesse in attività semplici o in sequenze di fasi progressive.

    Nel corso di tutto il processo di insegnamento (in particolare nelle classi alla fine del percorso di studi), quello che cerco di realizzare è un progressivo intervento di fading: di ridurre progressivamente il mio intervento nella realizzazione delle attività di laboratorio, ad esempio, da una modalità direttiva e di supporto ad una di coordinamento e di facilitazione.
    Ritengo, infatti, che il fine dell'insegnamento sia quello di favorire e di supportare le capacità di apprendere, anche in modo autonomo, favorendo lo sviluppo di processi di metacognizione e di autoregolazione (Vygotskij; Bruner; Zimmerman).

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  36. Amare il mio lavoro!
    Questa è la filosofia che adotto da sempre e che mi incentiva a frequentare corsi di formazione integrati da autoformazione per un continuo e motivato aggiornamento.
    I ragazzi arrivano alle scuole superiori affrontando il "nuovo" mondo come terra inesplorata e quindi tutta da scoprire. L'entusiasmo e la curiosità per una materia nuova sono stimoli che mi fanno mettere in gioco tutte le risorse possibili.
    Obiettivo: tenere vivo questo loro entusiasmo! Come?
    Di anno in anno è sempre più difficile trovare il modo adeguato per approcciarsi agli studenti. Sempre più numerosi sono i casi di ragazzi "problematici" o meglio, ragazzi carichi di problematiche legate ad un disagio personale o familiare.
    Stabilire relazioni ed impostare una didattica coinvolgente ed incisiva non è semplice ma ogni anno rappresenta il mio obiettivo prioritario.
    Ilaria Visioli

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  37. La prima (1.1) è la seguente: Quale è la sua filosofia dell’insegnamento
    Salve , mi chiamo Emanuela Candido e sono iscritta al corso PAS per la classe di concorso C070, Laboratori tecnologici esercitazione e moda. La mia filosofia l’ho sintetizzata con le parole “ motivazione , coinvolgimento e consapevolezza “, di seguito cercherò di spiegare. Il mio percorso di studi comincia con un istituto professionale con indirizzo moda , per proseguire con l’accademia di belle arti ,indirizzo scenografia . Subito dopo gli studi ho avuto la fortuna di mettere subito in atto le mie conoscenze collaborando con la mansione di assistente costumista per alcune opere teatrali e nel cinema per la realizzazione di fiction televisive , film con ambientazione storica : Empire, il Caravaggio , Baria, avendo la fortuna di collaborare con costumisti e registi di fama internazionale. Quasi contemporaneamente ho avuto le prime esperienze di insegnamento, quindi ho subito notato la notevole differenza che si ha tra applicare le proprie conoscenze (in un set cinematografico) e riuscire trasmetterle invece ad un gruppo classe .
    Una cosa che ho subito appurato che alla stragrande maggioranza degli alunni manca un progetto ,forse un sogno da realizzare attraverso il percorso di studio che hanno intrapreso, quindi la cosa difficile da alimentare è la curiosità , l’entusiasmo e l’amore.
    Forse un po’ di disagio lo creiamo anche noi docenti quando chiamati dai nostri non più presidi, ma dirigenti di marketing ci spingono a vendere il prodotto istituto con discorsi ed effetti speciali con il misero ricatto del posto di lavoro se non si raggiunge un congruo numero di iscritti , risultato : classi con alunni estremamente disomogenei e scarsamente motivati.
    Ritengo che non può esistere una unica ricetta da proporre alle classi per ottenere il massimo del profitto , compito dell’insegnante è quello di saper cogliere e applicare le giuste sfumature, deve riuscire a far emergere i punti di forza di ogni singolo alunno Gratificandolo, motivandolo e mai enfatizzare un insuccesso per non diminuire la già esigua autostima. Cerco di essere vicino ai ragazzi, li ascolto e lavoro tanto per far accrescere curiosità ed importanza per le materie che studiano, avvicinandoli alle reali esigenze ed evidenziando tutte le prospettive del mondo del lavoro . Penso che l’insegnante non debba mai, porsi da genitore o amico, ma mantenere comunque la giusta distanza e pretendere rispetto per il suo ruolo. Sono molto vicino alle teorie comportamentistiche di Skinner e alle attività di modelling, pur cercando di strutturare nell’allievo l’aspetto critico del prodotto finito.

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  38. Sono Sante Cognoli, ho 59 anni e sono ancora precario.
    Ho avuto il mio primo incarico come supplente in tecnologia tessile , classe di concorso A070 nell’anno 2000-2001.
    Devo dire la verità, dopo 18 anni di lavoro dipendente , mai avrei pensato che un giorno potessi insegnare.
    La mia storia, infatti, è un po’ strana. Sono laureato in Ingegneria meccanica e dopo la laurea come la maggior parte dei laureati ho iniziato la pratica e collaborato in vari studi tecnici , l’idea dell’insegnamento molto lontana in quanto i posti per insegnanti di diritto veramente pochi. Nel 1981 sono entrato nell’organizzazione dei Consorzi Agrari nel reparto macchine . Così è stato fino al 1999. Penso che il mio divenire insegnate sia stato dato da una serie di casualità, infatti, subito dopo , ho incominciato a fare i corsi per gli apprendisti meccanici neo assunti .
    La prima esperienza è stata bella ma ho avuto nel primo periodo la sensazione di essere impacciato, poi mano amano ho preso sicurezza , poi ho preso coraggio e alla fine mi è sembrato che il mestiere fosse quello fatto a posta per te. Con il fallimento dell’organizzazione mi sono ritrovato senza lavoro e a fare la libera professione insegnando anche ai corsi di formazione professionale. Con inserimento nelle graduatorie di istituto, ho iniziato ad insegnare anche nelle scuole statali.
    Dal 2000 ad oggi ho sempre insegnato come precario con contratti annuali, e nel 2007 mi sono abilitato alla classe di concorso A020 discipline meccaniche
    Oggi, le scuole dove insegno sono istituti professionali dove indegno anche tecnologie tessili A070
    Negli istituti professionali gli alunni sono molti di più quindi il lavoro è un po’ diverso e leggermente più complesso.
    In tutte le classi cerco di creare un ambiente sereno, dove l’alunno può e deve fidarsi del professore, solitamente, nella prima lezione gli alunni avranno delle informazioni sulla mia persona, in modo da creare un piccolo punto d’incontro, cercando di realizzare un giusto equilibrio. Le classi sono, solitamente, eterogenee composte da studenti di varie etnie e classi sociali , spesso anche con vari disagi (sociale, familiare, psicologiche, fisiche, ecc), pertanto è necessario creare un rapporto professore-alunno buono, fiducioso e sereno sin dall’inizio, ciò rende maggiormente proficua l’attività didattica, ma, soprattutto aiuta l’insegnante a capire le problematiche personali degli alunni.
    Sicuramente ci sono molte filosofie dell’insegnamento, anche nel libro di Calvani vengono trattate varie metodologie,e in alcune le rivedo la mia, infatti la mia filosofia è quella di dare ai ragazzi le maggiori informazioni possibili sempre e continuamente, chiare, usando termini semplici ed esempi, che alla fine dell’anno magari non si ricorderanno tutto di quello che abbiamo detto e/o fatto in classe, ma ad ogni alunno, anche il più svogliato, rimarrà un concetto , un pensiero, un immagine della mia lezione che lo porterà con il ragionamento a delle conclusioni. Anche se l’alunno più svogliato mi fa capire che ha compreso un argomento non in modo mnemonico ma pratico, vuol dire che gli ho dato qualcosa ed io sono soddisfatto del mio lavoro.

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  39. Ho la fortuna di fare questo mestiere da sette anni, ma soprattutto non sento di “svolgere” il lavoro dell’insegnante, sento di essere un insegnante, un individuo che ha voglia di dare qualcosa agli altri, comunicare e crescere, far fare esperienze e far comprendere attraverso queste.
    Dunque, qual è la mia filosofia di insegnamento, non mi sono mai posta direttamente questa domanda, in questi giorni ho avuto paura di non avere una risposta, in realtà questa era già nelle mie intenzioni ancora prima di iniziare a svolgere questo mestiere.
    Fin dall’ adolescenza quando iniziavo a progettare il mio futuro il ruolo del docente appariva per me sempre molto affascinante, cattive esperienze nel mio percorso scolastico hanno segnato il mio modo di essere docente. Da allora ho sempre cercato di apportare migliorie a quelli che ritenevo essere metodi e comportamenti errati, particolarmente nei confronti degli alunni. Il mio motto ieri come oggi era:
    - Non voglio diventare, se mai lo diventerò, un insegnante come loro!”
    Tutt’ora questo pensiero è con me ogni volta che mi confronto con un ragazzo. La cosa importante è la vicinanza con lui, la persona che è, poi tutto il resto.
    Nel leggere il libro di Calvani mi sono riconosciuta nell’insegnante che descrive, ho ritrovato molti dei comportamenti e i rapporti che anche io tento di intrattenere con gli alunni, a conferma del fatto, forse, che se un impronta di metodo di insegnamento c’è, visti i pochi anni di esperienza, sono sulla buona strada.
    Sono pienamente d’accordo quando fa riferimento all’educatore dicendo che deve mettersi dal punto di vista dell’allievo, cercando di vedere il mondo dai suoi occhi, questo però dal mio punto di vista, non solo per quanto riguarda gli insegnamenti ma anche per quel che riguarda il lato umano.
    I ragazzi hanno bisogno che gli si infonda prima di tutto fiducia nelle loro capacità, soprattutto quelli nelle realtà in cui andiamo ad insegnare.
    A seconda delle materie che insegno infatti mi trovo di anno in anno dislocata in Istituti Tecnici o Istituti Professionali e sono realtà ben diverse, sia per la presenza di differenti classi sociali che per etnie.
    Cambiano anche le motivazioni per cui i ragazzi vengono a scuola, per cui studiano, per cui imparano, Skinner a tal proposito parla di Rinforzo Positivo. A volte, secondo me non è sbagliato motivare un ragazzo facendogli vedere che può andare oltre le possibilità e i limiti che crede di avere, perché nel passo successivo si può tentare di alzarne il livello e lo stesso ragazzo non avrà più paura di mettersi alla prova.
    Tornando alla filosofia di insegnamento, al primo posto ci sono gli alunni e le loro esigenze prese singolarmente. Il primo giorno di lavoro in assoluto ho avuto il timore di trovarmi fuori luogo, inesperta e inadatta a quel ruolo. Perché comunicare e comprendere e farsi comprendere da chi ci troviamo di fronte tutti i giorni non è facile, quei ragazzi passano con noi gran parte della loro giornata, hanno bisogno sì di imparare le nozioni che in tanti libri potrebbero trovare scritte e per cui noi siamo il tramite, ma prima di fare questo, prima hanno bisogno di un rapporto di fiducia, di un confronto con le persone che si trovano davanti. Hanno bisogno di sapere che ti meriti la loro attenzione perché in un mondo che corre così veloce, loro per quel tempo che tu richiedi si devono fermare e rivolgerti lo sguardo.
    Consuelo Ballarini

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  41. Come sarà questa classe? come sarà questo Prof.? Questo penso ogni volta che inizia un nuovo rapporto di reciprocità con un piccolo modello della società che viviamo.
    Sappiamo di "entrare" con le nostre competenze e con i nostri modi ma guardando i miei quindici anni d'insegnamento ci si accorge come si modifica una filosofia dell'insegnamento, operando nel nuovo e nel diverso non solo nei contenuti ma anche nella forma, si cambiano a volte delle "false credenze" spostandosi verso il "cercare sempre essenzialità, chiarezza, concisione dei messaggi veicolati." Come Ruffino Bonci Mainetti afferma "un sistema produttivo sopravvive e si sviluppa se la sua velocità di apprendimento è maggiore (o almeno uguale) alla velocità dei cambiamenti del suo ambiente esterno".
    Per accedere con la mia materia Discipline Pittoriche nei Licei Artistici dal forte legame con il passato, cerco di creare nei ragazzi un parallelismo con la contemporaneità perché la filosofia visiva e contenutistica và cercata e ricercata nel proprio presente, resa visibile dal glorioso passato per poi essere innovazione e novità per il futuro.
    L'uso di un linguaggio corrente modellato anche sulle forme delle nuove generazioni, permette un approccio più rapido al linguaggio specifico, alla comprensione di un sapere anche complesso, producendo conoscenze sempre spendibili.
    In questo percorso ritengo fondamentale attuare "rinforzo positivo" e "rinforzo negativo" comunque relativamente alla loro fase di apprendimento, svincolando gli allievi dalla pretesa di competenze in via di maturazione proprio per renderli consapevoli delle logiche del mondo reale dove si proitterà il loro sapere.
    Roberto De Santis

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  43. La mia filosofia di insegnamento è di affrontare ogni lezione con curiosità, non sapendo mai come andrà a finire; così, anche se molte volte ho preparato una lezione con puntualità e zelo, è capitato che la risposta dei miei alunni è stata del tutto imprevista, per cui mi hanno rivolto delle domande su temi che potevano anche esulare dallo stretto contesto di trattazione, ma non per questo non erano interessanti. Del resto, è difficile imprigionare un argomento nell'arco di un'ora o due, per cui ben vengano le domande che traggono spunto da una trattazione, ad esempio di "Storia dell'arte", e finiscono per abbracciare la mitologia, la tecnologia tessile ed anche i costumi della nostra società. Dico questo perché ho insegnato molte materie nell'arco della mia carriera professionale, giacché sono architetto ed ho anche un diploma da stilista; l'anno scorso ho conseguito l'abilitazione all'insegnamento in "Storia dell'arte", così posso insegnare dodici materie! La mia prima esperienza nel campo dell'insegnamento è stata una supplenza, che ho tenuto durante lo svolgimento del mio dottorato di ricerca in "Storia dell'architettura e dell'urbanistica". Dovevo insegnare "Disegno e storia del costume", così è stato per me un impatto molto forte, dovermi misurare con delle classi di un Istituto professionale, mentre il mio percorso di conoscenze era tutto inserito nell'aulico mondo accademico. Ho dovuto calibrare il mio sapere sulle capacità cognitive dei miei studenti, che non sempre erano in grado di seguire il mio passo, così questa è stata per me una grande lezione di umiltà. Successivamente ho ricevuto delle chiamate per delle supplenze in "Educazione tecnica", nelle Scuole Medie, e lì ho dovuto compiere un ulteriore sforzo per consentire la comprensione dell'argomentazione da parte di una scolaresca ancora più giovane e quindi ancora più curiosa e motivata nell'apprendimento. Da qui ho capito che Il modo di proporsi ad una scolaresca non deve essere a senso unico, ma deve saper cogliere spunti e riflessioni che via via vengono lanciati durante la lezione per interagire con la dimensione cognitiva del funzionamento mentale dell'alunno.

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  44. 1.Quale è la sua filosofia di insegnamento?
    La mia carriera come insegnante inizia cinque anni fa (di cui due nella scuola privata), preceduta da alcuni anni di formazione specifica per l'insegnamento ( scuola di specializzazione all'insegnamento), ma la mia precedente formazione è scientifica (artistica) essendo laureata in Architettura.
    L'esperienza come insegnante non risulta eccessivamente durevole, e quindi non ho ancora acquisito una mia personale filosofia di insegnamento che possa essere definita in tutte le sue componenti, mi ritrovo ancora alla scoperta di quello che posso definire " il mestiere dell'insegnante".
    Riprendo il titolo del libro di Guido Petter che mi molto colpito durante i miei precedenti studi e rispetto al quale condivido in pieno il concetto espresso sull'insegnamento. All'interno del libro, nella parte iniziale della premessa, definisce il mestiere dell'insegnante molto somigliante a quello del genitore. Li caratterizza come mestieri delicati, complessi, impegnativi e interessanti. Il loro obiettivo comune è quello di favorire la crescita di bambini e ragazzi, e dal modo in cui vengono esercitate dipende in larga misura l'esito della crescita di individui che attraversano il periodo più sensibile della loro formazione, ed esercitati bene si può influire in senso positivo su tale processo formativo. Sono entrambi complessi perché affrontano una varietà di eventi, psicologici e interpersonali che va dalle varie fasi del loro sviluppo mentale fino alla formazione di rapporti affettivi sociali positivi. Sono mestieri impegnativi, e chi lo svolge seriamente se ne accorge subito. Ma sopratutto insegnare ( e quindi educare) si rivela interessante e su tale concetto devo ancora farne esperienza sul campo. Petter definisce interessante ultimamente " l'intimo piacere che un insegnante prova nel veder crescere intorno a sé degli allievi i quali, grazie anche alla sua opera quotidiana, sono sereni, attivi e entusiasti, e in certi momenti persino felici, e divengono sempre più capaci di operare, studiare, agire in autonomia e senso di responsabilità"
    Passando a questo punto alla prassi didattica, che in qualche modo deve rendere esperienza ciò che Petter afferma, mi ha colpito il capitolo del libro di Antonio Calvani, dal titolo "Come descrivere l'insegnamento. Architetture e formati dell'istruzione". Questo perché descrive in maniera scientifica e quindi riproponibile, i vari tentativi di insegnamento che faticosamente e ancora in maniera esitante cerco di applicare quando entro in classe. Trovo molto interessante definire delle architetture d'istruzione delle cornici di riferimento in cui possono essere collocati (con gradi diversi) le varie strategie o modelli didattiche. Ciò sopratutto in funzioni di variabili che coinvolgono sia i docenti che gli allievi. Tale criterio di libertà e di non classificazione netta si ritrova anche in altre parti del capitolo: come nella sottolineatura che nella didattica viva il mondo dei formati di istruzione sfuggono alla separazione decisa tra un formato e l'altro (lezione, problem solving, simulazione ecc) . Stesso concetto viene espresso nella definizione di Formati di istruzione: canovacci di riferimento ai quali gli attori possono richiamarsi in modo più o meno esplicito.
    Concludendo trovo molto importante che nel capitolo sino stati dati i tasselli e la cornice necessari perché l'insegnante possa muoversi inserendo quei dati fornita dalla realtà (clima della classe, esperienza pregressa degli allievi ecc) per poter rendere vivo ed efficace l'insegnare. Inoltre vengono forniti in modo schematico e molto utile i punti di forza e le limitazioni di ogni formato di istruzione. Ciò rende più semplice la scelta per un approccio didattico opportuno.
    Teresa Anania

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